mercoledì 25 marzo 2009

QUO VADIS JAPAN

C’È LUCE IN FONDO AL TUNNEL?

Crollo delle esportazioni, previsioni pessimistice, licenziamenti.
Sembra proprio che una nuova “lost decade” sia cominciata.

(da Tokyo, Paolo Soldano - pubblicato sulla Newsletter della Camera di Commercio Italiana in Giappone, marzo 09)

In un Paese dove nell'ultimo trimestre 2008 il prodotto interno lordo ha subito la peggiore contrazione dai tempi della crisi petrolifera del 1974, segnando un -12,1% su base annua (- 3,2% rispetto al trimestre precedente), il futuro appare a tinte fosche.

Dopo il periodo degli anni ‘90 ribattezzato “decade perduta” (“ushinawareta jūnen”o “the lost decade or end of the century”), il Giappone, faticosamente uscito dal decennio di stagnazione, sta subendo pesantemente gli effetti della crisi internazionale.
Che sia l’inizio di una nuova, più profonda “lost decade”?
Difficile dirlo e difficile fare previsioni. Se si guardano i dati, essere ottimisti non è così facile: il valore reale dello yen nei confronti del dollaro e delle altre principali valute ha raggiunto a dicembre il livello più alto dal 1970, i fallimenti aziendali nell’anno passato sono aumentate dell’11% (la cifra più alta degli ultimi otto anni), e il numero di suicidi ha raggiunto quota 2.645 nel solo mese di gennaio (in media uno ogni 20 minuti).

Noburo Hatakeyama, direttore della Japan Economic Foundation, in un articolo dal titolo “Quando la crisi toccherà il fondo?” (comparso sull’ultimo numero della rivista “Japan Spotlight”) scrive che essa non finirà fino a quando i problemi strutturali (che, nel caso degli Stati Uniti, comprendono per esempio le eccessive forme di indebitamento per il consumo privato) non verranno risolti.

Con la domanda di beni e servizi da parte dei Paesi industrializzati in costante calo, un altro modo di uscire dalla crisi potrebbe essere quello (sempre secondo Hatakeyama) di investire in innovazione tecnologica, soprattutto nei settori chiave legati al mondo dell’ecologia e dei servizi agli anziani.

Facendo un passo indietro, sarebbe bene analizzare in primo luogo le peculiarità del “Sistema Giappone”. Oltre ai sempre più evidenti problemi di leadership politica, il Giappone è un Paese che da sempre “prende ordini” (nel senso di ordinativi): poiché il vero malato è il committente, il crollo delle esportazioni terminerà solo quando il paziente si rimetterà in sesto. In secondo luogo, l’apparato industriale giapponese è molto elastico: se nei momenti di crescita l’ottimizzazione dei processi produttivi (uno fra tutti, il just in time made in Toyota) dà i suoi frutti, è anche vero che tale sistema si ripercuote nei momenti di crisi.

Una grande azienda come Toyota, per esempio, chiude immediatamente i “rubinetti” che coinvolgono l’indotto. Negli altri Paesi invece questi processi sono più lenti, perché non così legati alle esportazioni. Un altro elemento “d’innovazione” (a seconda dei punti di vista) introdotto in tempi favorevoli è la flessibilità della manodopera, che ha portato all’abbattimento del famoso mito dell’impiego a vita: una flessibilità che ora fa rima con facilità (nel licenziare).

Come si potrebbero inserire in tutto questo gli imprenditori italiani? Il comparto alimentare, almeno per il momento, sembra tenere (vedi l’articolo sul Foodex a pag. 7). E per chi ha “liquidi” a disposizione rivolgersi oggi al mercato immobiliare offrirebbe opportunità non trascurabili. A parte questo, rimane solo l’ottimismo e la fiducia nei giapponesi. Oppure affidarsi alla previsione di Hatakeyama: “la crisi finirà a ottobre del prossimo anno”.
Sarà proprio così?

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Noburo Hatakeyama, ex direttore della Jetro, è l’attuale direttore generale della Japan Economic Foundation (JEF) – fondazione costituita nel 1981 per approfondire la mutua conoscenza tra il Giappone e gli altri Paesi attraverso attività volte alla promozione degli scambi economici e tecnologici.
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(da Tokyo, Paolo Soldano - Newsletter della Camera di Commercio Italiana in Giappone, marzo09)

domenica 22 marzo 2009

Kanji, questi sconosciuti

Si sa, il giapponese (come tutte le lingue orientali) è difficile da imparare, e ancora di più da scrivere. Comprensibili dunque gli errori commessi dagli stranieri, affascinanti invece quelli fatti dai giapponesi. Il fascino raddoppia se perfino il capo del governo sbaglia a leggere la sua lingua madre facendo delle gaffe clamorose e sfiorando una crisi internazionale.
È successo a Taro Aso, attuale leader del governo giapponese, ormai famoso, e non solo in patria, per le sue devastanti “uscite”: durante un discorso ufficiale ha definito i rapporti con la Cina “ingombranti”, al posto di “frequenti”. Un lapsus? Certo che no, ha semplicemente sbagliato a leggere, anche perché non era la prima volta. In passato, parlando della politica della maggioranza, ha usato la parola “fetore” invece di “seguire”. È venuto fuori che il governo “puzzava”.
Come sono possibili questi errori? La scrittura giapponese ha due tipi di segni grafici: i kana (katakana e hiragana) e i kanji, gli ideogrammi derivati secoli fa dalla Cina. Avendo molti caratteri letture che variano a seconda del contesto, spesso è facile confondersi.
Non è mancata, da parte di qualche giornale scandalistico giapponese, perfino la pubblicazione della lista “ufficiale” dei kanji che il primo ministro non sarebbe in grado di leggere. Ma c’è poco da ridere: secondo un sondaggio condotto (proprio dal governo) nel 2007, almeno un quinto dei giapponesi di età superiore ai 16 anni si imbatte di frequente in qualche carattere che non sa interpretare, mentre il 30% ha problemi a riprodurli senza averli sott’occhio. E ben la metà degli intervistati confessa di dover ancora “fissare” ben a mente i 1.945 caratteri minimi, fissati dal Ministero dell’Istruzione, necessari alla vita quotidiana. Non a caso in Giappone spopolano libri per imparare a riconoscere (e a scrivere) gli ideogrammi. Uno degli ultimi successi editoriali? “I caratteri che sembrano semplici da leggere ma facili da confondere”: 800.000 copie vendute in pochi mesi.
(da Tokyo - pubblicato su "A" per "Così va il mondo", marzo 2009)

Giapponesi si nasce

Sono sempre stato affascinato da processioni, balli, culti, preghiere e riti propiziatori, e non c’è dubbio che il meraviglioso mondo delle feste popolari giapponesi rappresenti una realtà tutta da scoprire. E qualche volta impossibile da ignorare, soprattutto quando sono coinvolti 9.000 uomini radunati in una notte d’inverno, semi-nudi, esagitati e per di più bagnati con acqua fredda (per purificarsi). La Saidaiji Eyo (una delle tre più antiche cerimonie del Giappone) è arrivata quest’anno alla sua 500esima edizione, riuscendo a radunare migliaia di persone vestite solo di “fundoshi” (il perizoma giapponese, tanto per intenderci) propense a raggiungere in tutti i modi una sorta di amuleto dai leggendari flussi benefici. E tutto questo perché il “vincitore” possa essere eletto dai monaci del tempio “uomo fortunato dell’anno”. In confronto il “festival del fango” (padri che corrono – sempre mezzi nudi - nelle risaie infangate abbracciando i figli neonati per augurare loro un buon raccolto e una buona salute) ha molto più senso.
(da Tokyo - pubblicato su "A", marzo 2009)

Mistero di un tour

Pensavo di sapere quasi tutto sul meraviglioso mondo dei viaggi organizzati alla giapponese (5 giorni, 4 città, 2340 foto, tour operator e ombrellini). Finché non mi sono imbattuto nei “Mistery Tour”. Stanchi di scegliere la vostra destinazione? Confusi perché proprio non sapete dove andare? Semplicemente troppo pigri per organizzare il vostro viaggio? I “Mistery Tour” fanno proprio al caso vostro. Basta comprare tramite agenzia un pacchetto “misterioso”, scegliendo tra diverse opzioni ma senza conoscere la destinazione finale. Si può optare tra “Asia” (circa 120 euro per 3 giorni), “Spiaggia” (200 euro, 4 giorni), perfino “Europa” (600 euro, 9 giorni). Il programma prevede (traduzione letterale) “Tokyo Narita - Da Qualche Parte – Tokyo Narita”. Se invece il tempo scarseggia e il coraggio di affrontare l’ignoto manca, meglio affidarsi al pacchetto “Giappone” (1 giorno, 20 euro) oppure rilassarsi con il pacchetto “Onsen” (il bagno termale tipico giapponese): una notte a meno di 60 euro colazione e cena comprese. A voi, esplorator di novelli lidi.
(da Tokyo - pubblicato su "A", marzo 2009)

Cinesi sì, ma con i soldi

L’immigrazione clandestina in Giappone è un fenomeno che farebbe ridere qualsiasi ministro europeo: trovare un immigrato senza permesso di soggiorno è cosa rara, complice la (tradizionale) chiusura della società giapponese, che in certi casi colpisce anche i turisti. Un esempio? I cinesi. Al momento i visti turistici per visitatori provenienti dalla Cina sono dati solo a gruppi che vanno dalle 5 alle 40 persone, obbligatoriamente con guida al seguito. Oppure a piccoli gruppi familiari (2/3 persone) con un reddito annuale di 250.000 yuan o 3,3 milioni di yen, cioè più di 27.000 euro. Non so quanti turisti italiani potrebbero permettersi una vacanza in Giappone, se questo fosse applicato anche nei nostri confronti. Ad ogni modo, le cose stanno cambiando. Probilmente a causa della crisi, il governo sta finalmente prendendo in considerazione di permettere le visite “singole” anche per i cinesi. Sempre senza esagerare: sì al visto ma solo ai turisti che garantiscono certi "criteri di agiatezza", tra cui essere frequent flyer e possedere almeno una carta di credito. Viva la tolleranza del portafoglio.
(Febbraio '09)