lunedì 27 luglio 2009

Giappone: elezioni politiche fissate per il 30 agosto

di Paolo Soldano (pubblicato su Equilibri.net - 27 luglio 2009)

Il Primo Ministro giapponese Taro Aso ha sciolto la Camera Bassa lo scorso 21 luglio, fissando le elezioni al 30 agosto. Fervono già le attività tra i due maggiori partiti giapponesi (il Liberal Democratic Party, attualmente al governo, e il Democratic Party of Japan, all’opposizione) nonostante la campagna elettorale cominci ufficialmente il 18 agosto. Mentre il governo ha annunciato che sarà vietato l’uso di Twitter per fare propaganda elettorale, tra accuse reciproche, dichiarazioni forti e incertezza politica, il Partito Democratico ha la storica chance di prendere le redini della seconda economia mondiale per la prima volta, dopo 55 anni di potere liberale (quasi) ininterrotto.


Campagna elettorale in salita per l’LDP, partito “storico” di maggioranza

Secondo l’ultimo sondaggio condotto dal Nikkei, il quotidiano economico finanziario più importante del Giappone, tra il Partito Democratico guidato da Yukio Hatoyama - da poco succeduto a Ichiro Ozawa - e quello Liberale (con Aso in testa) ci sarebbe una differenza di 10 punti percentuali a favore del primo, che si assesterebbe al 40% (tre punti percentuali in più rispetto alle precedenti rilevazioni). Percentuale che scende invece al 30% per l’LDP. Dal sondaggio è anche emerso che il 60% di coloro che non appoggiano l’attuale capo di governo puntano il dito principalmente sulla sua mancanza di leadership. Non stupiscono dunque le parole di quello che, di fatto, è stato uno dei Primi Ministri più impopolari della storia democratica del paese: “Ci possono essere stati alcuni giapponesi non molto a loro agio riguardo la mia leadership e vorrei cogliere questa occasione per scusarmi” - ha dichiarato Aso nel corso di una conferenza stampa il giorno dopo aver indetto le elezioni. Nel fare autocritica, l’uscente Primo Ministro si è spinto anche a una considerazione interna al partito: “Nell’LDP la solidarietà è venuta meno e ciò è stata probabilmente una conseguenza della mia debole leadership”. Da quando è diventato capo del governo a settembre dell’anno scorso, Taro Aso ha fatto una serie di gaffe (dai commenti sulla religione cristiana a quelli sugli anziani, senza contare l’imbarazzo provocato dal fatto di non saper scrivere alcuni caratteri kanji) che lo hanno portato all’impopolarità. Cosa per altro ricordata da lui stesso nel corso della sopra citata conferenza stampa: “Ci possono essere stati alcuni commenti da parte mia non appropriati che possono aver portato a una diminuzione del consenso popolare”.Ci si potrebbe chiedere le ragioni che hanno portato il Partito Liberal Democratico, dopo la schiacciante vittoria ottenuta nel settembre del 2005, a perdere consenso in maniera così netta in soli quattro anni.Una delle motivazioni è da ricercare nel disatteso spirito riformista dell’allora Primo Ministro Junichiro Koizumi, tradito all’interno del suo stesso partito proprio sulla riforma cardine, quella delle poste statali. Da allora, la politica dell’LDP ha perso consistenza e credibilità e l’affetto degli elettori è venuto meno. Shinzo Abe prima, Yasuo Fukuda poi e Taro Aso da ultimo, succeduti alla guida del governo come primi ministri, non sono stati scelti direttamente dagli elettori, ma sono arrivati al potere tramite rimpasti di governo.Questa nuova tornata elettorale potrebbe dunque rappresentare una straordinaria opportunità per il Partito Democratico, anche se i dubbi non mancano. Un’amministrazione con a capo il DPJ sarà in grado di riformare la burocrazia e gestire le politiche del governo? Di quanto potrà ridurre lo spreco di denaro pubblico? Sarà capace di riformare il sistema fiscale? Come potrà assicurare le risorse finanziare necessarie alle sue misure politiche nonostante abbia dichiarato di non avere intenzione di alzare la tassa sui consumi (attualmente al 5%) nei prossimi quattro anni? Come potrà gestire la difesa nazionale dal momento che ci sono profonde divergenze tra i suoi stessi membri? Sono queste alcune delle domande che si leggono tra gli articoli di fondo dei principali giornali giapponesi e che riflettono le incertezze degli stessi elettori.

Economia e difesa nazionale punti caldi

“Queste elezioni determineranno se il Giappone è in grado di uscire dalla crisi economica e rinforzare le sue fondamenta per un’ulteriore crescita”, ha dichiarato Fujio Mitarai, a capo della Japan Business Federation (Nippon Keidanren) nonché presidente della Canon, che ha anche esortato tutti i partiti a delineare specifiche e realistiche linee politiche che possano “creare una società e un’economia dinamiche”. Uno dei punti intorno ai quali ruoterà la campagna elettorale sarà inevitabilmente l’economia.Il piano finanziario straordinario anti-crisi del governo per l’anno fiscale 2009, che ha raggiunto il valore record di 13.900 miliardi di yen (pari a circa 104 miliardi di euro), fortemente criticato non solo dall’opposizione, senza dubbio peserà sulla futura crescita del Sistema Giappone. Molti gli economisti che hanno avanzato dubbi sulla necessità e sull’efficacia di certe misure varate nel piano di stimolo economico. “Gli effetti della spinta economica data dal piano finanziario sono vicino allo zero” – ha dichiarato Masaru Takagi, professore d’economia all’Università Meiji di Tokyo. “I contenuti del programma sono in realtà una serie di spese inutili”. Il provvedimento più criticato è quello che prevede l’erogazione di 11,7 miliardi di yen che il Ministero dell’Educazione avrà a disposizione per costruire un centro di pop-art a Tokyo, nello sforzo di promuovere manga, anime e grafica digitale: 10.000 metri quadrati, 5 piani di edificio, per creare una sorta di museo del fumetto. Nel suo programma elettorale, l’LDP intende alzare la tassa sui consumi dopo la ripresa economica (auspicata dallo stesso governo per il 2011), e usare i profitti da ciò derivati per costituire un fondo per coprire il costo sempre più alto dei programmi di sicurezza sociale. Nel frattempo, la controparte democratica ha promesso di togliere i pedaggi autostradali e introdurre un sussidio sanitario mensile di 26.000 yen (circa 190 euro) a bambino. Il programma del DPJ include inoltre la creazione di un sistema di indennità salariale per gli agricoltori, per una spesa complessiva di 16.800 miliardi di yen. Qualunque partito vinca le elezioni, con un debito pubblico che ha abbondantemente superato il 180% del prodotto interno lordo, preoccupano ulteriori iniziative di spesa pubblica.Per la politica estera, diplomazia e difesa nazionale saranno altri due punti chiave della compagna elettorale. L’alleanza con gli Stati Uniti, indiscussa a tutti i livelli, assumerebbe (forse) delle sfumature diverse a seconda della coalizione a capo del prossimo governo. In vista del cinquantesimo anniversario della seconda edizione del patto di sicurezza tra Giappone e Stati Uniti, il prossimo anno, l’LDP vorrebbe rafforzare l’alleanza con Washington, mentre il Partito Democratico spinge a una maggiore autonomia (per esempio tramite una maggiore presenza del Giappone alle missioni di peace-keeping) e a un minor “servilismo” nei confronti della superpotenza americana.

Scontro politico

Alcuni deputati dell’attuale maggioranza hanno già cominciato a prendere posizioni forti, sostenendo che gli elettori non dovrebbero abbandonare il partito che ha governato la nazione per gran parte del secondo dopoguerra. Stando alle previsioni di molti analisti, le elezioni potrebbero essere infatti disastrose per il Partito Liberal Democratico, che ha governato il Giappone, escluso un breve periodo di meno di un anno all’inizio degli anni ’90, ininterrottamente dal 1955. Usando toni che verranno probabilmente ripetuti spesso da qui al 30 agosto, alcuni deputati hanno dichiarato che il Partito Democratico del Giappone, semplicemente, non ha esperienza e non ci si potrebbe fidare nel caso prendesse in mano le redini della seconda economia mondiale. “Volete il conservatorismo? O volete un nuovo socialismo per il Giappone?” - ha chiesto provocatoriamente agli elettori Yukari Sato, deputata dell’LDP. Sul fronte opposto, Yukio Hatoyama, leader del DPJ, ha assicurato che queste elezioni segneranno la svolta nella politica del paese del Sol Levante e che il suo partito vede la vittoria come una “missione storica”.Se da una parte l’LDP sente la necessità di rinserrare le linee e ritrovare al suo interno l’unità perduta, cercando di affrontare a testa alta le imminenti elezioni (le prime a essere tenute nel mese di agosto dopo la fine del secondo conflitto mondiale), il DPJ ha tempo qualche settimana per aumentare (in qualche caso addirittura costruire) la propria credibilità, e presentarsi agli elettori come una reale e forte alternativa di governo.


Nota: Al momento del suo scioglimento, la Camera Bassa era così composta: 303 membri dell’LDP, 112 del DPJ, 31 del Partito New Komeito (alleato politico dell’LDP), 9 del Partito Comunista giapponese, 7 del Partito Social Democratico, 5 del Nuovo Partito del Popolo, 1 del Nuovo Partito Daichi e 1 del Partito della Rinascita del Giappone. Nove membri indipendenti, 2 posti vacanti.



mercoledì 15 luglio 2009

Le Mille Bolle Blu

245 etichette, terzo paese esportatore in Giappone,
un valore complessivo che si aggira intorno ai
7 milioni di euro all’anno.

L’Italia è ricca d’acqua ma fa fatica ad
affermarsi sul mercato giapponese.


(pubblicato sulla Newsletter della
Camera di Commercio Italiana in Giappone - giugno 09)


In un paese come il Giappone, dove per tradizione l’acqua è quella del rubinetto ed è versata gratis con ghiaccio in qualsiasi ristorante, l’Italia è entrata da poco (circa 10 anni) nel mercato dell’acqua minerale, in estremo ritardo rispetto alla Francia, suo diretto concorrente.
Basta dare un'occhiata ai numeri per rendersi conto della differenza tra i due paesi: nel 2008, circa 25 miliardi di yen (184 milioni di euro) per la Francia, meno della metà per l’Italia (circa 947 milioni di yen, cioè 7 milioni di euro).

E’ sufficiente entrare in uno degli onnipresenti “combini” per capirne le conseguenze: al bancone delle acque, oltre a quelle giapponesi, si trovano quasi sempre Evian, Volvic tra le "naturali" e Perrier per quelle frizzanti.
Di acqua italiana, naturale o frizzante che sia, neanche l’ombra: bisogna andare nei supermercati “specializzati”, come Kinokunya o Eataly, per trovarla.
Unica nota positiva, confrontando con attenzione i dati 2007/2008 riguardanti i primi cinque esportatori, è che l’Italia è il paese che ha perso di meno rispetto agli altri (tranne,curiosamente, la Germania, che ha visto una crescita del 23%).

Eppure qualche anno fa l'acqua minerale italiana aveva cominciato ad affermarsi, ed era presente (Uliveto, San Benedetto, San Pellegrino) anche nei piccoli supermarket e perfino in qualche "combini".
Poi è sparita. Cosa è successo?

“La realtà è che spesso” - racconta Andrea Rasca, presidente della società BTG Group e fondatore dell’Aqua Concept di Nishiazabu, a Tokyo - “le aziende italiane non fanno pianificazione a breve, ma vogliono solo massimizzare le vendite dal primo container. Ci sono imprenditori che si aspettano il ritorno dall'investimento dal primo giorno. Inoltre la superficialità della preparazione dei manager e degli imprenditori stessi porta ad azioni confuse, mal organizzate e, agli occhi dei giapponesi, totalmente inadeguate”.
Degli esempi? “Partite di bottiglie con etichette mal attaccate o totale mancanza di informazione sulle caratteristiche delle acque stesse”.

Per Susumu Maeda, presidente della Mae International Travel, azienda importatrice di prodotti italiani (tra cui l’Acqua Paradiso) attiva da più di 30 anni, i termini della questione affondano le radici in vari fattori.
Perché l’acqua italiana è difficile da trovare, a cominciare dai convenient store?
Quando una catena come il Seven Eleven, con 20.000 punti vendita aperti 24 ore su 24 sparsi su tutto il territorio giapponese, ordina un prodotto, i volumi dell’ordinazione sono enormi. Acqua Paradiso non avrebbe nemmeno un magazzino sufficientemente grande per soddisfare una domanda del genere. Lo stesso vale per le altre aziende italiane.
Un mercato rischioso dunque...
Certo, anche perché se il cliente non compra la merce, questa torna indietro: ciò significa non solo ritrovarsi con grandi quantità di invenduto, ma anche sostenerne il costo di ritiro.
Nella patria dei distributori automatici, possibile che nessuna azienda italiana riesca a inserirsi in questo giro d’affari?
Stesso discorso dei “combini”, più un paio di problemi tecnici: il tappo e l’etichetta. Se diamo un’occhiata ai tappi delle bottiglie di plastica dei distributori automatici, ci accorgeremo che sono molto più “alti” rispetto a quelli delle acque italiane: questo per evitare che il tappo non scappi durante il trasporto. L’umidità è l’altro fattore determinante: è da anni che dico all’azienda madre, in Italia, di cambiare l’etichetta, farla plasticata. L’unica cosa che ho ottenuto è l’etichetta argentata, che perlomeno è migliore rispetto a quella di carta.
La crisi ha toccato anche il vostro settore?
Sì, la generale diminuzione dei consumi si è fatta sentire, soprattutto per quanto riguarda i ristoranti.
Cosa dovrebbero fare le aziende italiane per migliorare le vendite in Giappone?
Innanzitutto, e questo non riguarda solo il mercato dell’acqua, bisognerebbe fare gruppo, fare sistema, unirsi per affrontare la concorrenza degli altri paesi. C’è troppa frammentazione in Italia, troppo individualismo, ognuno pensa solo a sé: è una cosa che non ci si può più permettere, vista la concorrenza di paesi “nuovi” come la Turchia o l’Egitto.
Fare “nome” basterebbe a far diminuire i prezzi e rendere i prodotti italiani ancora più competitivi?
No, perché l’Italia è in ritardo soprattutto per quanto riguarda la tecnologia del trasporto.
Basti pensare che è l’unico paese che usa ancora i bancali di legno, che costano 10 euro l’uno e sono inutilizzabili dalle aziende giapponesi. Ventiquattro bancali per ogni container, più le spese di smaltimento come materiale ricliclabile: si capisce subito che i costi sono fin da subito più elevati.

Insomma, tutt’altro che cristallino, il mercato dell’acqua...
“La scarsa lungimiranza e la scarsa professionalità di molti imprenditori e manager italiani” - è l’amara riflessione di Andrea Rasca - “si coniuga perfettamente con la scarsa capacità di sostenere, in forma pragmatica e programmatica, le aziende italiane da parte delle istituzioni presenti sul territorio”.
E i giapponesi, come si rapportano ai nostri prodotti?
“Le bollicine piacciono moltissimo ai giapponesi, e questo vale sia per l'acqua che per i nostri prosecchi. Il mercato è invece ancora nelle mani di gruppetti di buyer totalmente impreparati, superficiali e , soprattutto, composti al 98% da soli uomini. E tutti sanno che in Giappone sono le donne che determinano i gusti e le tendenze”.

martedì 14 luglio 2009

L'Italia dei principi. Attivi

(pubblicato sulla Newsletter della Camera di Commercio
Italiana in Giappone, maggio '09
)

E’ il settore da sempre al top della classifica delle esportazioni in Giappone, eppure è quello meno conosciuto, sia tra gli operatori italiani che giapponesi. L’Italia non è solo food e fashion (e meccanica), ma anche medicinali e principi attivi.

Esiste un’Italia famosa in tutto il mondo, i cui prodotti simbolo sono la moda e gli alimentari. Fatica invece ad affermarsi, se si escludono gli addetti ai lavori, l’immagine del Bel Paese fornitore di prodotti farmaceutici.
Con un valore che sfiora i 470 milioni di dollari di esportazioni, il Giappone è uno dei Paesi principali in cui la presenza italiana si fa sentire. Un settore, tra l’altro, che non sembra conoscere crisi: basti considera i dati riguardanti i medicamenti preparati per scopi terapeutici o profilattici (codice HS 300490), con quel + 25% a febbraio 2009 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e il + 56% nel 2008 rispetto al 2007. (fonte: Jetro)
Secondo l’ICE, nel 2008 il valore complessivo delle esportazioni di prodotti farmaceutici italiani è stato pari a 65 miliardi di yen, con una variazione positiva del 23,3% rispetto all’anno precedente.
Il comparto della chimica farmaceutica, che rappresenta il settore di punta della chimica italiana (considerando che le circa 100 aziende di questo settore esportano l’85% del proprio fatturato nel mondo) ha variazioni percentuali da record, grazie alle sue 88 imprese (il 65% delle quali intorno a Milano) e un fatturato globale che si aggira intorno ai 4.000/4.500 milioni di euro all’anno. Nonostante questo, il “tasso di popolarità” rimane a livelli minimi.
Ne abbiamo parlato con Marcello Fumagalli, general manager della Chemical Pharmaceutical Generic Association, associazione italiana dei produttori di principi attivi ed intermedi per il mercato dei farmaci generici.

I medicamenti preparati per scopi terapeutici o profilattici sono il primo prodotto italiano esportato in Giappone. Perché sono pochi a saperlo?

L’Italyan Style, composto principalmente dalla moda e dal cibo, colpisce direttamente l’utilizzatore finale, per cui ha un impatto forte. Quando il business si compie invece tra produttore e trasformatore, come nel nostro caso (con un utilizzo specialistico), è difficile essere identificati come “italiani” dal consumatore finale. E questo nonostante i maggiori produttori di principi attivi a livello mondiale, per fare un esempio, siano proprio italiani.

Quanto è importante il Giappone per il vostro settore?
Il mercato dei principi attivi è da dividere in tre grandi aree: la prima è quella dell’Ocse, dove abbiamo una presenza di notevole importanza soprattutto negli Stati Uniti e Canada, e nei Paesi nordeuropei, dove il farmaco generico è più diffuso.
La seconda area è quella asiatica, in primo luogo Cina e India, dove fino a qualche anno fa avevamo un peso notevole oggi ridotto: si esporta sempre meno rispetto a prima, pur essendo un mercato interessante come fonte di materie prime e intermedie.
La terza è un’area a sé, ed è costituita proprio dal Giappone, l’estremo Occidente e l’estremo Oriente insieme. Qui siamo presenti da sempre e il nostro riconoscimento è costantemente in crescita.

Previsioni per il prossimo quinquennio?
Prevediamo una penetrazione sempre più forte perché le prospettive sono buone e c’è ancora spazio per crescere. Molte aziende stanno cercando agenti: ciò significa che intendono spingersi sempre di più nel mercato giapponese.

giovedì 2 luglio 2009

L'indice del pesce rosso

Un cellulare, un pesce rosso e uno nero, una boccia e un gatto: ecco come si cura lo stress in Giappone. L’Università Tokai ha sviluppato, insieme a un’azienda giapponese, il cosiddetto “Indice della Boccia del Pesce” (giuro che si chiama così) che visualizza direttamente sul telefonino quanto siamo stressati. Il pesce rosso rappresenta noi stessi, e appare sempre più malandato a seconda del nostro livello di stress; quello nero diventa sempre più aggressivo a seconda della tensione che raggiungiamo con le altre persone; il gatto indica lo stress sociale, la boccia quello in famiglia. Nel caso di ansia elevata, il primo cercherà di mangiarci, la seconda si romperà. Se il sistema arriva alla conclusione che siamo dei malati di mente, ci indica dove andare per avere un consulto. I responsabili dell’entusiasmante progetto sono perfino riusciti a dichiarare che hanno creato tutto questo perché preoccupati che il livello di suicidi (quasi 33.000 l’anno scorso - uno ogni 16 minuti) possa aumentare a causa della crisi. Non pensavo che avrei rimpianto il Tamagochi.
(Tokyo, 11 giugno 2009 - pubblicato su "A" del 2 luglio '09)