domenica 8 novembre 2009

Come risollevare nel Sol Levante il turismo della Bella Italia



Tatami, e luce fu

Uno degli aspetti che rende affascinante il Giappone è la compenetrazione di tradizione e tecnologia. Prendiamo il tatami, ad esempio, la classica pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari di paglia di riso intrecciata e pressata. Da sempre presente nelle case nipponiche, con la costruzione di nuovi edifici in stile occidentale sta diventando, anno dopo anno, sempre meno popolare. A rivitalizzare la domanda e riportare il tatami ai fasti antichi ci sta pensando la Murakami Sangyo, azienda giapponese del settore, che ha realizzato e commercializzato il primo tatami che s’illumina. Grazie a LED inseriti a dovere, il pavimento viene leggermente illuminato, creando un’atmosfera davvero particolare. Quattro colori disponibili, inclusi il bianco e il nero. Unico difetto (almeno a mio parere) è il prezzo: a partire da 600 euro per un tatami da 90 centimetri per 90. Aspetterò la versione impermeabile, già in fase di progettazione, da utilizzare dove fino a pochi anni fa era del tutto impensabile: a bordo piscina o, perché no, in bagno.
(pubblicato su "A" numero 45, 12 novembre 2009)

Ponyo

Da tempo mi chiedo come mai il senso giapponese del bello non trovi corrispondenza nella salvaguardia del paesaggio. Deturpare il territorio non è mai stato un grande problema per i giapponesi (vedi l’inutile cementazione del letto dei fiumi, per dirne una). Grazie a un film di animazione, pare che le cose stiano cambiando. Un tribunale giapponese ha infatti bloccato i lavori di costruzione sulla costa di Tomonoura (prefettura di Hiroshima), dove Miyazaki, vincitore di un Premio Oscar, passò un paio di mesi traendo aspirazione per il film d’animazione “Ponyo sulla scogliera”, famoso in tutto il mondo e uscito in Italia a marzo di quest’anno. Il giudice ha motivato la sentenza dicendo che “Tomonoura è proprietà del popolo giapponese. Se il progetto venisse completato, sarebbe impossibile ristabilire la bellezza scenica dell’area”. Per la NHK (la televisione di stato) è la prima volta in assoluto che un tribunale giapponese blocca dei lavori pubblici per preservare un paesaggio.
(pubblicato su "A")

giovedì 10 settembre 2009

Un gelato spericolato

Estate: sinonimo di vacanze, relax e di... gelato. Possibilmente non al polipo, al mais, alla patata o al pomodoro, come hanno invece pensato bene di inventarsi qui. Arrivano dal Giappone i gusti per tutti i gusti, soprattutto quelli più disgustosi. Il pesce vi fa semplicemente impazzire? Provate il gelato al gamberetto, al granchio, al tonno, alle ostriche, all’anguilla e (perché no?) alla balena. Meglio la carne? Se siete troppo schizzinosi dal provare il gusto alla lingua di bue, potete sempre rifugiarvi nei più tradizionali sapori alle ali di pollo o al cavallo. Volete proprio fare i diversi? I gusti all’aglio, agli spinaci o al curry indiano potrebbero fare al caso vostro. Amate il pericolo? Buttatevi sul gelato al serpente a sonagli. Tradizionalisti? Eccovi accontentati con i gusti alla zuppa di miso, al wasabi o alla salsa di soia. Se invece preferite una cosa leggera, una bella coppetta al riso e non ci pensate più. Pare proprio che qualsiasi ingrediente valga la pena essere provato. Dagli altri.
(pubblicato su "A" numero 35 - 9 settembre 09)

Burocrazia.net

Perché non abbiamo anche noi un “Quartier Generale Strategico per l’Information Technology”? Entro quattro anni il Giappone ha in programma di mettere in rete un portale (è stato definito “l’emporio” dell’amministrazione) che permetterà ai cittadini di accedere a una vastissima gamma di servizi pubblici: grazie alla “casella postale” on-line (niente paura, hanno assicurato che gli standard di sicurezza sono elevatissimi) i cittadini potranno gestire le loro informazioni personali, dal controllare la registrazione dei loro pagamenti per la pensione pubblica all’ottenere una copia del certificato di residenza (spero sia prevista anche la versione inglese). Il progetto fa parte della famigerata “e-Japan strategy”. Lo spirito è quello di “incoraggiare la creatività attraverso lo scambio di conoscenza tra i cittadini” e abbattere le barriere fisiche, geografiche ed economiche. Il tutto coprendo il 100% del territorio con reti internet ultra-veloci e realizzando “l’amministrazione pubblica elettronica”.

lunedì 27 luglio 2009

Giappone: elezioni politiche fissate per il 30 agosto

di Paolo Soldano (pubblicato su Equilibri.net - 27 luglio 2009)

Il Primo Ministro giapponese Taro Aso ha sciolto la Camera Bassa lo scorso 21 luglio, fissando le elezioni al 30 agosto. Fervono già le attività tra i due maggiori partiti giapponesi (il Liberal Democratic Party, attualmente al governo, e il Democratic Party of Japan, all’opposizione) nonostante la campagna elettorale cominci ufficialmente il 18 agosto. Mentre il governo ha annunciato che sarà vietato l’uso di Twitter per fare propaganda elettorale, tra accuse reciproche, dichiarazioni forti e incertezza politica, il Partito Democratico ha la storica chance di prendere le redini della seconda economia mondiale per la prima volta, dopo 55 anni di potere liberale (quasi) ininterrotto.


Campagna elettorale in salita per l’LDP, partito “storico” di maggioranza

Secondo l’ultimo sondaggio condotto dal Nikkei, il quotidiano economico finanziario più importante del Giappone, tra il Partito Democratico guidato da Yukio Hatoyama - da poco succeduto a Ichiro Ozawa - e quello Liberale (con Aso in testa) ci sarebbe una differenza di 10 punti percentuali a favore del primo, che si assesterebbe al 40% (tre punti percentuali in più rispetto alle precedenti rilevazioni). Percentuale che scende invece al 30% per l’LDP. Dal sondaggio è anche emerso che il 60% di coloro che non appoggiano l’attuale capo di governo puntano il dito principalmente sulla sua mancanza di leadership. Non stupiscono dunque le parole di quello che, di fatto, è stato uno dei Primi Ministri più impopolari della storia democratica del paese: “Ci possono essere stati alcuni giapponesi non molto a loro agio riguardo la mia leadership e vorrei cogliere questa occasione per scusarmi” - ha dichiarato Aso nel corso di una conferenza stampa il giorno dopo aver indetto le elezioni. Nel fare autocritica, l’uscente Primo Ministro si è spinto anche a una considerazione interna al partito: “Nell’LDP la solidarietà è venuta meno e ciò è stata probabilmente una conseguenza della mia debole leadership”. Da quando è diventato capo del governo a settembre dell’anno scorso, Taro Aso ha fatto una serie di gaffe (dai commenti sulla religione cristiana a quelli sugli anziani, senza contare l’imbarazzo provocato dal fatto di non saper scrivere alcuni caratteri kanji) che lo hanno portato all’impopolarità. Cosa per altro ricordata da lui stesso nel corso della sopra citata conferenza stampa: “Ci possono essere stati alcuni commenti da parte mia non appropriati che possono aver portato a una diminuzione del consenso popolare”.Ci si potrebbe chiedere le ragioni che hanno portato il Partito Liberal Democratico, dopo la schiacciante vittoria ottenuta nel settembre del 2005, a perdere consenso in maniera così netta in soli quattro anni.Una delle motivazioni è da ricercare nel disatteso spirito riformista dell’allora Primo Ministro Junichiro Koizumi, tradito all’interno del suo stesso partito proprio sulla riforma cardine, quella delle poste statali. Da allora, la politica dell’LDP ha perso consistenza e credibilità e l’affetto degli elettori è venuto meno. Shinzo Abe prima, Yasuo Fukuda poi e Taro Aso da ultimo, succeduti alla guida del governo come primi ministri, non sono stati scelti direttamente dagli elettori, ma sono arrivati al potere tramite rimpasti di governo.Questa nuova tornata elettorale potrebbe dunque rappresentare una straordinaria opportunità per il Partito Democratico, anche se i dubbi non mancano. Un’amministrazione con a capo il DPJ sarà in grado di riformare la burocrazia e gestire le politiche del governo? Di quanto potrà ridurre lo spreco di denaro pubblico? Sarà capace di riformare il sistema fiscale? Come potrà assicurare le risorse finanziare necessarie alle sue misure politiche nonostante abbia dichiarato di non avere intenzione di alzare la tassa sui consumi (attualmente al 5%) nei prossimi quattro anni? Come potrà gestire la difesa nazionale dal momento che ci sono profonde divergenze tra i suoi stessi membri? Sono queste alcune delle domande che si leggono tra gli articoli di fondo dei principali giornali giapponesi e che riflettono le incertezze degli stessi elettori.

Economia e difesa nazionale punti caldi

“Queste elezioni determineranno se il Giappone è in grado di uscire dalla crisi economica e rinforzare le sue fondamenta per un’ulteriore crescita”, ha dichiarato Fujio Mitarai, a capo della Japan Business Federation (Nippon Keidanren) nonché presidente della Canon, che ha anche esortato tutti i partiti a delineare specifiche e realistiche linee politiche che possano “creare una società e un’economia dinamiche”. Uno dei punti intorno ai quali ruoterà la campagna elettorale sarà inevitabilmente l’economia.Il piano finanziario straordinario anti-crisi del governo per l’anno fiscale 2009, che ha raggiunto il valore record di 13.900 miliardi di yen (pari a circa 104 miliardi di euro), fortemente criticato non solo dall’opposizione, senza dubbio peserà sulla futura crescita del Sistema Giappone. Molti gli economisti che hanno avanzato dubbi sulla necessità e sull’efficacia di certe misure varate nel piano di stimolo economico. “Gli effetti della spinta economica data dal piano finanziario sono vicino allo zero” – ha dichiarato Masaru Takagi, professore d’economia all’Università Meiji di Tokyo. “I contenuti del programma sono in realtà una serie di spese inutili”. Il provvedimento più criticato è quello che prevede l’erogazione di 11,7 miliardi di yen che il Ministero dell’Educazione avrà a disposizione per costruire un centro di pop-art a Tokyo, nello sforzo di promuovere manga, anime e grafica digitale: 10.000 metri quadrati, 5 piani di edificio, per creare una sorta di museo del fumetto. Nel suo programma elettorale, l’LDP intende alzare la tassa sui consumi dopo la ripresa economica (auspicata dallo stesso governo per il 2011), e usare i profitti da ciò derivati per costituire un fondo per coprire il costo sempre più alto dei programmi di sicurezza sociale. Nel frattempo, la controparte democratica ha promesso di togliere i pedaggi autostradali e introdurre un sussidio sanitario mensile di 26.000 yen (circa 190 euro) a bambino. Il programma del DPJ include inoltre la creazione di un sistema di indennità salariale per gli agricoltori, per una spesa complessiva di 16.800 miliardi di yen. Qualunque partito vinca le elezioni, con un debito pubblico che ha abbondantemente superato il 180% del prodotto interno lordo, preoccupano ulteriori iniziative di spesa pubblica.Per la politica estera, diplomazia e difesa nazionale saranno altri due punti chiave della compagna elettorale. L’alleanza con gli Stati Uniti, indiscussa a tutti i livelli, assumerebbe (forse) delle sfumature diverse a seconda della coalizione a capo del prossimo governo. In vista del cinquantesimo anniversario della seconda edizione del patto di sicurezza tra Giappone e Stati Uniti, il prossimo anno, l’LDP vorrebbe rafforzare l’alleanza con Washington, mentre il Partito Democratico spinge a una maggiore autonomia (per esempio tramite una maggiore presenza del Giappone alle missioni di peace-keeping) e a un minor “servilismo” nei confronti della superpotenza americana.

Scontro politico

Alcuni deputati dell’attuale maggioranza hanno già cominciato a prendere posizioni forti, sostenendo che gli elettori non dovrebbero abbandonare il partito che ha governato la nazione per gran parte del secondo dopoguerra. Stando alle previsioni di molti analisti, le elezioni potrebbero essere infatti disastrose per il Partito Liberal Democratico, che ha governato il Giappone, escluso un breve periodo di meno di un anno all’inizio degli anni ’90, ininterrottamente dal 1955. Usando toni che verranno probabilmente ripetuti spesso da qui al 30 agosto, alcuni deputati hanno dichiarato che il Partito Democratico del Giappone, semplicemente, non ha esperienza e non ci si potrebbe fidare nel caso prendesse in mano le redini della seconda economia mondiale. “Volete il conservatorismo? O volete un nuovo socialismo per il Giappone?” - ha chiesto provocatoriamente agli elettori Yukari Sato, deputata dell’LDP. Sul fronte opposto, Yukio Hatoyama, leader del DPJ, ha assicurato che queste elezioni segneranno la svolta nella politica del paese del Sol Levante e che il suo partito vede la vittoria come una “missione storica”.Se da una parte l’LDP sente la necessità di rinserrare le linee e ritrovare al suo interno l’unità perduta, cercando di affrontare a testa alta le imminenti elezioni (le prime a essere tenute nel mese di agosto dopo la fine del secondo conflitto mondiale), il DPJ ha tempo qualche settimana per aumentare (in qualche caso addirittura costruire) la propria credibilità, e presentarsi agli elettori come una reale e forte alternativa di governo.


Nota: Al momento del suo scioglimento, la Camera Bassa era così composta: 303 membri dell’LDP, 112 del DPJ, 31 del Partito New Komeito (alleato politico dell’LDP), 9 del Partito Comunista giapponese, 7 del Partito Social Democratico, 5 del Nuovo Partito del Popolo, 1 del Nuovo Partito Daichi e 1 del Partito della Rinascita del Giappone. Nove membri indipendenti, 2 posti vacanti.



mercoledì 15 luglio 2009

Le Mille Bolle Blu

245 etichette, terzo paese esportatore in Giappone,
un valore complessivo che si aggira intorno ai
7 milioni di euro all’anno.

L’Italia è ricca d’acqua ma fa fatica ad
affermarsi sul mercato giapponese.


(pubblicato sulla Newsletter della
Camera di Commercio Italiana in Giappone - giugno 09)


In un paese come il Giappone, dove per tradizione l’acqua è quella del rubinetto ed è versata gratis con ghiaccio in qualsiasi ristorante, l’Italia è entrata da poco (circa 10 anni) nel mercato dell’acqua minerale, in estremo ritardo rispetto alla Francia, suo diretto concorrente.
Basta dare un'occhiata ai numeri per rendersi conto della differenza tra i due paesi: nel 2008, circa 25 miliardi di yen (184 milioni di euro) per la Francia, meno della metà per l’Italia (circa 947 milioni di yen, cioè 7 milioni di euro).

E’ sufficiente entrare in uno degli onnipresenti “combini” per capirne le conseguenze: al bancone delle acque, oltre a quelle giapponesi, si trovano quasi sempre Evian, Volvic tra le "naturali" e Perrier per quelle frizzanti.
Di acqua italiana, naturale o frizzante che sia, neanche l’ombra: bisogna andare nei supermercati “specializzati”, come Kinokunya o Eataly, per trovarla.
Unica nota positiva, confrontando con attenzione i dati 2007/2008 riguardanti i primi cinque esportatori, è che l’Italia è il paese che ha perso di meno rispetto agli altri (tranne,curiosamente, la Germania, che ha visto una crescita del 23%).

Eppure qualche anno fa l'acqua minerale italiana aveva cominciato ad affermarsi, ed era presente (Uliveto, San Benedetto, San Pellegrino) anche nei piccoli supermarket e perfino in qualche "combini".
Poi è sparita. Cosa è successo?

“La realtà è che spesso” - racconta Andrea Rasca, presidente della società BTG Group e fondatore dell’Aqua Concept di Nishiazabu, a Tokyo - “le aziende italiane non fanno pianificazione a breve, ma vogliono solo massimizzare le vendite dal primo container. Ci sono imprenditori che si aspettano il ritorno dall'investimento dal primo giorno. Inoltre la superficialità della preparazione dei manager e degli imprenditori stessi porta ad azioni confuse, mal organizzate e, agli occhi dei giapponesi, totalmente inadeguate”.
Degli esempi? “Partite di bottiglie con etichette mal attaccate o totale mancanza di informazione sulle caratteristiche delle acque stesse”.

Per Susumu Maeda, presidente della Mae International Travel, azienda importatrice di prodotti italiani (tra cui l’Acqua Paradiso) attiva da più di 30 anni, i termini della questione affondano le radici in vari fattori.
Perché l’acqua italiana è difficile da trovare, a cominciare dai convenient store?
Quando una catena come il Seven Eleven, con 20.000 punti vendita aperti 24 ore su 24 sparsi su tutto il territorio giapponese, ordina un prodotto, i volumi dell’ordinazione sono enormi. Acqua Paradiso non avrebbe nemmeno un magazzino sufficientemente grande per soddisfare una domanda del genere. Lo stesso vale per le altre aziende italiane.
Un mercato rischioso dunque...
Certo, anche perché se il cliente non compra la merce, questa torna indietro: ciò significa non solo ritrovarsi con grandi quantità di invenduto, ma anche sostenerne il costo di ritiro.
Nella patria dei distributori automatici, possibile che nessuna azienda italiana riesca a inserirsi in questo giro d’affari?
Stesso discorso dei “combini”, più un paio di problemi tecnici: il tappo e l’etichetta. Se diamo un’occhiata ai tappi delle bottiglie di plastica dei distributori automatici, ci accorgeremo che sono molto più “alti” rispetto a quelli delle acque italiane: questo per evitare che il tappo non scappi durante il trasporto. L’umidità è l’altro fattore determinante: è da anni che dico all’azienda madre, in Italia, di cambiare l’etichetta, farla plasticata. L’unica cosa che ho ottenuto è l’etichetta argentata, che perlomeno è migliore rispetto a quella di carta.
La crisi ha toccato anche il vostro settore?
Sì, la generale diminuzione dei consumi si è fatta sentire, soprattutto per quanto riguarda i ristoranti.
Cosa dovrebbero fare le aziende italiane per migliorare le vendite in Giappone?
Innanzitutto, e questo non riguarda solo il mercato dell’acqua, bisognerebbe fare gruppo, fare sistema, unirsi per affrontare la concorrenza degli altri paesi. C’è troppa frammentazione in Italia, troppo individualismo, ognuno pensa solo a sé: è una cosa che non ci si può più permettere, vista la concorrenza di paesi “nuovi” come la Turchia o l’Egitto.
Fare “nome” basterebbe a far diminuire i prezzi e rendere i prodotti italiani ancora più competitivi?
No, perché l’Italia è in ritardo soprattutto per quanto riguarda la tecnologia del trasporto.
Basti pensare che è l’unico paese che usa ancora i bancali di legno, che costano 10 euro l’uno e sono inutilizzabili dalle aziende giapponesi. Ventiquattro bancali per ogni container, più le spese di smaltimento come materiale ricliclabile: si capisce subito che i costi sono fin da subito più elevati.

Insomma, tutt’altro che cristallino, il mercato dell’acqua...
“La scarsa lungimiranza e la scarsa professionalità di molti imprenditori e manager italiani” - è l’amara riflessione di Andrea Rasca - “si coniuga perfettamente con la scarsa capacità di sostenere, in forma pragmatica e programmatica, le aziende italiane da parte delle istituzioni presenti sul territorio”.
E i giapponesi, come si rapportano ai nostri prodotti?
“Le bollicine piacciono moltissimo ai giapponesi, e questo vale sia per l'acqua che per i nostri prosecchi. Il mercato è invece ancora nelle mani di gruppetti di buyer totalmente impreparati, superficiali e , soprattutto, composti al 98% da soli uomini. E tutti sanno che in Giappone sono le donne che determinano i gusti e le tendenze”.

martedì 14 luglio 2009

L'Italia dei principi. Attivi

(pubblicato sulla Newsletter della Camera di Commercio
Italiana in Giappone, maggio '09
)

E’ il settore da sempre al top della classifica delle esportazioni in Giappone, eppure è quello meno conosciuto, sia tra gli operatori italiani che giapponesi. L’Italia non è solo food e fashion (e meccanica), ma anche medicinali e principi attivi.

Esiste un’Italia famosa in tutto il mondo, i cui prodotti simbolo sono la moda e gli alimentari. Fatica invece ad affermarsi, se si escludono gli addetti ai lavori, l’immagine del Bel Paese fornitore di prodotti farmaceutici.
Con un valore che sfiora i 470 milioni di dollari di esportazioni, il Giappone è uno dei Paesi principali in cui la presenza italiana si fa sentire. Un settore, tra l’altro, che non sembra conoscere crisi: basti considera i dati riguardanti i medicamenti preparati per scopi terapeutici o profilattici (codice HS 300490), con quel + 25% a febbraio 2009 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e il + 56% nel 2008 rispetto al 2007. (fonte: Jetro)
Secondo l’ICE, nel 2008 il valore complessivo delle esportazioni di prodotti farmaceutici italiani è stato pari a 65 miliardi di yen, con una variazione positiva del 23,3% rispetto all’anno precedente.
Il comparto della chimica farmaceutica, che rappresenta il settore di punta della chimica italiana (considerando che le circa 100 aziende di questo settore esportano l’85% del proprio fatturato nel mondo) ha variazioni percentuali da record, grazie alle sue 88 imprese (il 65% delle quali intorno a Milano) e un fatturato globale che si aggira intorno ai 4.000/4.500 milioni di euro all’anno. Nonostante questo, il “tasso di popolarità” rimane a livelli minimi.
Ne abbiamo parlato con Marcello Fumagalli, general manager della Chemical Pharmaceutical Generic Association, associazione italiana dei produttori di principi attivi ed intermedi per il mercato dei farmaci generici.

I medicamenti preparati per scopi terapeutici o profilattici sono il primo prodotto italiano esportato in Giappone. Perché sono pochi a saperlo?

L’Italyan Style, composto principalmente dalla moda e dal cibo, colpisce direttamente l’utilizzatore finale, per cui ha un impatto forte. Quando il business si compie invece tra produttore e trasformatore, come nel nostro caso (con un utilizzo specialistico), è difficile essere identificati come “italiani” dal consumatore finale. E questo nonostante i maggiori produttori di principi attivi a livello mondiale, per fare un esempio, siano proprio italiani.

Quanto è importante il Giappone per il vostro settore?
Il mercato dei principi attivi è da dividere in tre grandi aree: la prima è quella dell’Ocse, dove abbiamo una presenza di notevole importanza soprattutto negli Stati Uniti e Canada, e nei Paesi nordeuropei, dove il farmaco generico è più diffuso.
La seconda area è quella asiatica, in primo luogo Cina e India, dove fino a qualche anno fa avevamo un peso notevole oggi ridotto: si esporta sempre meno rispetto a prima, pur essendo un mercato interessante come fonte di materie prime e intermedie.
La terza è un’area a sé, ed è costituita proprio dal Giappone, l’estremo Occidente e l’estremo Oriente insieme. Qui siamo presenti da sempre e il nostro riconoscimento è costantemente in crescita.

Previsioni per il prossimo quinquennio?
Prevediamo una penetrazione sempre più forte perché le prospettive sono buone e c’è ancora spazio per crescere. Molte aziende stanno cercando agenti: ciò significa che intendono spingersi sempre di più nel mercato giapponese.

giovedì 2 luglio 2009

L'indice del pesce rosso

Un cellulare, un pesce rosso e uno nero, una boccia e un gatto: ecco come si cura lo stress in Giappone. L’Università Tokai ha sviluppato, insieme a un’azienda giapponese, il cosiddetto “Indice della Boccia del Pesce” (giuro che si chiama così) che visualizza direttamente sul telefonino quanto siamo stressati. Il pesce rosso rappresenta noi stessi, e appare sempre più malandato a seconda del nostro livello di stress; quello nero diventa sempre più aggressivo a seconda della tensione che raggiungiamo con le altre persone; il gatto indica lo stress sociale, la boccia quello in famiglia. Nel caso di ansia elevata, il primo cercherà di mangiarci, la seconda si romperà. Se il sistema arriva alla conclusione che siamo dei malati di mente, ci indica dove andare per avere un consulto. I responsabili dell’entusiasmante progetto sono perfino riusciti a dichiarare che hanno creato tutto questo perché preoccupati che il livello di suicidi (quasi 33.000 l’anno scorso - uno ogni 16 minuti) possa aumentare a causa della crisi. Non pensavo che avrei rimpianto il Tamagochi.
(Tokyo, 11 giugno 2009 - pubblicato su "A" del 2 luglio '09)

domenica 7 giugno 2009

Com'era verde la mia casa

Alzi la mano chi non ha mai desiderato avere una casetta sull’albero, in cui nascondersi per stare da solo o invitare gli amici. Terunobu Fujimori, classe ’46, vulcanico architetto giapponese (ha partecipato anche alla Biennale di Venezia del 2006), si è costruito nella prefettura di Nagano una casa da tè che regge semplicemente su due tronchi di castagno, a circa otto metri dal terreno. Alla casetta sull’albero, ironicamente chiamata “Takasugi” (letteralmente “casa da tè costruita troppo in alto”), si accede tramite due scale a pioli: al termine della prima gli ospiti devono togliersi le scarpe e lasciarle sul mezzanino. Completamente fatta di bamboo e cartongesso, delle dimensioni di circa 3 metri quadri, ha anche tre finestre dalle quali si scorge il panorama della vallata. Certo, l’impressione è che potrebbe cadere da un momento all’altro e non penso sia il posto più sicuro al mondo dove rifugiarsi in una giornata di vento. Ma immagino la magia che si respira una volta lì dentro.
(da Tokyo - pubblicato su "A", 11/6/09)

giovedì 21 maggio 2009

Riforma della giustizia in Giappone: al via la giuria popolare

Il 21 maggio 2009 è la data di entrata in vigore, in Giappone, del nuovo sistema legale detto “dei saiban-in”, neologismo giapponese coniato nel 2001 per indicare la giuria popolare. Sei cittadini estratti a sorte tra gli elettori saranno chiamati ad affiancare tre giudici togati per giudicare solo i reati più gravi. Tra le perplessità degli accademici e la fredda attesa da parte dell’opinione pubblica, nel paese in cui la prima fase processuale dura in media 90 giorni, in cui il 97% degli imputati viene condannato ed esiste ancora la pena di morte, la giuria popolare potrebbe rappresentare il primo passo verso una riforma del processo. Ne abbiamo parlato con Andrea Ortolani (dottore di ricerca in diritto comparato), a Tokyo dal 2003 per studiare il sistema giuridico giapponese.
(da Equilibri.net, 21 maggio 2009)            >>

giovedì 23 aprile 2009

GIAPPONE: VERSO LA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE

L’invio di due navi da guerra nel golfo di Aden e la reazione al lancio nord-coreano: due episodi che hanno riacceso il dibattito (mai realmente sopito) sull’opportunità della riforma della Costituzione e sul ruolo delle Forze di Auto-Difesa (Self-Defense Forces) in Giappone. Il paese è pronto per una riforma della propria Costituzione? Quali sarebbero le conseguenze nello scacchiere geopolitico dell’Asia Orientale?Ne abbiamo parlato con Alessio Patalano, docente presso il Dipartimento di War Studies del King’s College di Londra ed esperto di storia militare e di relazioni internazionali dell’Asia Orientale.   >> 

Paolo Soldano (23 aprile 2009)

domenica 12 aprile 2009

Metropoli senz'anima

È stato definito “straordinario”, “originale”, “un efficace ritratto d’atmosfera della città e dei suoi abitanti”: basta solo il sottotitolo per capire che “Tokyo! – Tre visioni di esistenza” è uno di quei film di cui si parlerà, nel bene e nel male (e probabilmente solo su internet, visto che in Italia non si sa bene se e quando uscirà nelle sale). Tre registi (di cui uno coreano), tre storie, un’unica città che fa da sfondo alle vite di tre personaggi inquietanti: una donna con disturbi psichici che si trasforma in sedia, un “hikikimori” (fenomeno tutto giapponese di chi si ritira in casa per anni senza uscirne mai) che si innamora di una ragazza con tatuaggi speciali che consegna pizza a domicilio, e una specie di eremita dalle unghie lunghissime e dallo strano linguaggio che vive nelle fogne di Tokyo, arrestato per un attacco terroristico. Allucinazioni allo stato puro che raccontano una delle città più popolate al mondo, dove alienazione e solitudine sono all’ordine del giorno. Sarò pronto a guardarlo?
(da Tokyo - pubblicato su "A" 15/09)

martedì 7 aprile 2009

Addio azienda mamma


(di Paolo Soldano - pubblicato in versione ridotta su
Il Mondo del 3/4/09)


Disoccupazione e agitazioni sociali, classe politica impopolare e malvoluta, crollo delle esportazioni. La crisi imperversa senza tregua sul Paese del Sol Levante mostrando sempre di più il “volto umano” della (ancora per poco?) seconda economia mondiale.


Fine dell’impiego a vita

È da poco uscito un libro dal titolo “Non mettere la tua vita a servizio dell’azienda” (“Kaisha ni jinsei o azukenura”). La tesi dell’autrice, Kazuyo Katsuma (analista in carriera di quarant’anni che gira in bici per le strade di Tokyo, 14 libri pubblicati e 3 figli) è tanto semplice quanto sconcertante, almeno fino a qualche anno fa: i giapponesi dovrebbero riconsiderare l’impiego a vita e cambiare il loro modo di pensare riguardo al rischio. “Molti confondono rischio con pericolo” – ha detto Katsuma in una recente intervista al Japan Times – “I rischi sono opportunità che arrivano in circostanze eccezionali”. Dunque tutti dovrebbero avere la “libertà di correrli”, e finirla di cacciarsi in situazioni come l’impiego a vita, dove “si entra in azienda a 22 anni e si esce a 60 con la pensione. Oggigiorno è del tutto insensato credere che un’azienda possa mantenere una stabilità finanziaria per un arco di tempo così lungo”.
Pensiero controcorrente? A quanto pare no.
La crisi imperversa come uno tsunami sul gigante giapponese e le cose, a poco a poco, stanno cambiando, tra licenziamenti e aumento dei senzatetto.
Nella sola area metropolitana di Tokyo (almeno secondo le ultime stime ufficiali del Ministero del Lavoro, risalenti al 2007) sarebbero 2.000 le persone costrette a passare la notte negli “internet caffè”, che si stanno sempre di più trasformando alberghi a ore dove si può anche mangiare, dormire e farsi una doccia. Vero e proprio rifugio per senzatetto e per chi, la mattina dopo, pur non avendo una casa, va a lavorare. E il numero di persone registrate alla Tokyo Challenge Net, centro di assistenza sociale nato l’anno scorso nella capitale proprio per sostenere i rifugiati dei net caffè nella ricerca di casa, lavoro e prestiti agevolati, ha raggiunto a marzo quota 1.002, il 33% dei quali costituito da trentenni.
Le aziende corrono ai ripari come possono: riducendo il personale, imponendo ferie non pagate anche una volta alla settimana, non mantenendo le promesse prese con i neolaureati.
Si è anche raggiunto da poco un accordo tra il governo e la Japan Business Federation (associazione che conta al suo interno più di 1.300 aziende) per il “job sharing”. “Lavorare meno, lavorare tutti”, recitava un vecchio slogan, e in Giappone sembra oggi la via da seguire: dopo Toyota, Toshiba e Nissan, è certo che molti seguiranno il modello.


Tensioni sociali

In un Paese dove protestare non fa parte del DNA della società civile, colpisce l’agitazione di marzo dei dipendenti dell’Ana (All Nippon Airways) – la settima compagnia aerea nel mondo e la più importante per quanto riguarda i voli interni. Indetto da quattro sigle sindacali in seguito ai tagli per 14 miliardi di yen (circa 1,2 miliardi di euro) previsti dalla compagnia, che ha accusato perdite per 9 miliardi di yen (72 milioni di euro – meno 18,1% di voli in meno solo a dicembre) nell’anno fiscale appena concluso, lo sciopero di 24 ore ha causato disagi a quasi 10.000 passeggeri, con 137 voli cancellati e 30 ritardati.
Sembra proprio che tutti i nodi stiano venendo al pettine.
Secondo quanto è emerso da una recente analisi dell’International Labour Organization (agenzia delle Nazioni Unite) i senza lavoro che non ricevono sussidi di disoccupazione in Giappone ammontano al 77% dei disoccupati, la proporzione più alta tra le nazioni industriali. La relazione dell’Organizzazione, che ha coperto 8 “grandi” nazioni incluse quelle emergenti dal punto di vista economico, mostra che il Brasile ha la più alta percentuale di senza lavoro (93%) che non ricevono sussidi, seguito dalla Cina (84%), dal Giappone (77%), dagli Stati Uniti e dal Canada (entrambi al 57%). La percentuale scende a meno del 20% per Francia (18) e Germania (13).
I primi a pagarne le conseguenze sono, ovviamente, gli stranieri, a cominciare dalla folta comunità latina, soprattutto brasiliana (i cosiddetti «nisei», cioè i nipoti degli emigranti giapponesi che nel secolo scorso andarono in Sud America a cercar fortuna, e che poi tornarono all’epoca della bolla economica). Su 320 mila “nisei” ufficialmente registrati, circa la metà è senza lavoro.
La differenza tra un disoccupato giapponese e uno straniero? Per il secondo perdere il lavoro non è una vergogna, per il primo sì: è una macchia indelebile che mina i rapporti familiari e sociali e che spesso sfocia nel suicidio: nel solo mese di gennaio 2.645 persone si sono tolte la vita, in media una ogni 20 minuti.
Cifre comunque leggermente superiori rispetto al solito e derivate solo in parte dalla crisi in atto: con i suoi 33.000 suicidi l’anno di media, il Giappone è da anni tristemente al top delle classifiche mondiali.


Confusione e scandali politici

Alle prese con la burrascosa crisi internazionale, che in Giappone ha colpito principalmente il settore delle esportazioni (nell’ultimo trimestre del 2008 l’economia ha registrato la sua peggiore performance degli ultimi 35 anni, segnando un meno 12,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), non passa giorno senza che il governo annunci nuove manovre, incentivi ai consumi, sostegni alle famiglie, prestiti agevolati.
Tre primi ministri si sono avvicendati in meno di 2 anni, con Taro Aso, attuale capo di governo, che secondo i ben informati sarà costretto a indire nuove elezioni al più tardi a maggio, anche perché il suo tasso di popolarità (almeno secondo l’ultimo sondaggio condotto dall’agenzia di stampa Kyodo) ha toccato il minimo storico dell’11%. Impopolarità registrata a tutti i livelli: a detta della società finanziaria Nomura Securities, Aso sarebbe il fattore più negativo del 2009 per il mercato azionario giapponese.
L’indice congiunturale (la fiducia che le aziende dimostrano nell’economia) stilato dal governo tra i top manager giapponesi, è sceso al livello più basso degli ultimi cinque anni. Le aziende prevedono un calo dei profitti lordi in media del 41,2 % nell’anno fiscale terminato a marzo, e di un ulteriore 10,7 % ad aprile. Conseguenza? Tagli agli investimenti degli stabilimenti e delle attrezzature del 10,3% quest’anno e del 29,4 % nel prossimo. E il primo trimestre del 2009 potrebbe dimostrarsi altrettanto negativo, è l’ultima previsione del Ministro delle Finanze Kaoru Yosano.
In una situazione di questo genere, cala ancora di più la fiducia in una classe politica da poco coinvolta nello scandalo sui finanziamenti illeciti ai partiti, che ha come epicentro la società di costruzioni Nishimatsu e che ha colpito prima il maggior partito di opposizione (con il suo leader che ha usato toni forti nei confronti dei magistrati, dicendo che “hanno superato i loro limiti”) e sta ora intaccando anche quello di maggioranza.
Nel frattempo, continua il dibattito sulla riduzione del numero dei parlamentari e dei loro stipendi, proposta che periodicamente fa capolino tra i diversi schieramenti senza mai trovare sbocco attuativo. Sembrano passati decenni dal governo Koizumi, in carica dal 2001 al 2006, grazie al quale pareva che il Giappone fosse finalmente riuscito a uscire dalla famosa “lost decade”, il periodo di stagnazione economica degli anni ‘90 seguito alla scoppio della “bolla”.

Le crisi, secondo qualcuno, sono opportunità di cambiamento.
Vedremo quanto effettivamente riuscirà a cambiare il Giappone.

P.S.

mercoledì 25 marzo 2009

QUO VADIS JAPAN

C’È LUCE IN FONDO AL TUNNEL?

Crollo delle esportazioni, previsioni pessimistice, licenziamenti.
Sembra proprio che una nuova “lost decade” sia cominciata.

(da Tokyo, Paolo Soldano - pubblicato sulla Newsletter della Camera di Commercio Italiana in Giappone, marzo 09)

In un Paese dove nell'ultimo trimestre 2008 il prodotto interno lordo ha subito la peggiore contrazione dai tempi della crisi petrolifera del 1974, segnando un -12,1% su base annua (- 3,2% rispetto al trimestre precedente), il futuro appare a tinte fosche.

Dopo il periodo degli anni ‘90 ribattezzato “decade perduta” (“ushinawareta jūnen”o “the lost decade or end of the century”), il Giappone, faticosamente uscito dal decennio di stagnazione, sta subendo pesantemente gli effetti della crisi internazionale.
Che sia l’inizio di una nuova, più profonda “lost decade”?
Difficile dirlo e difficile fare previsioni. Se si guardano i dati, essere ottimisti non è così facile: il valore reale dello yen nei confronti del dollaro e delle altre principali valute ha raggiunto a dicembre il livello più alto dal 1970, i fallimenti aziendali nell’anno passato sono aumentate dell’11% (la cifra più alta degli ultimi otto anni), e il numero di suicidi ha raggiunto quota 2.645 nel solo mese di gennaio (in media uno ogni 20 minuti).

Noburo Hatakeyama, direttore della Japan Economic Foundation, in un articolo dal titolo “Quando la crisi toccherà il fondo?” (comparso sull’ultimo numero della rivista “Japan Spotlight”) scrive che essa non finirà fino a quando i problemi strutturali (che, nel caso degli Stati Uniti, comprendono per esempio le eccessive forme di indebitamento per il consumo privato) non verranno risolti.

Con la domanda di beni e servizi da parte dei Paesi industrializzati in costante calo, un altro modo di uscire dalla crisi potrebbe essere quello (sempre secondo Hatakeyama) di investire in innovazione tecnologica, soprattutto nei settori chiave legati al mondo dell’ecologia e dei servizi agli anziani.

Facendo un passo indietro, sarebbe bene analizzare in primo luogo le peculiarità del “Sistema Giappone”. Oltre ai sempre più evidenti problemi di leadership politica, il Giappone è un Paese che da sempre “prende ordini” (nel senso di ordinativi): poiché il vero malato è il committente, il crollo delle esportazioni terminerà solo quando il paziente si rimetterà in sesto. In secondo luogo, l’apparato industriale giapponese è molto elastico: se nei momenti di crescita l’ottimizzazione dei processi produttivi (uno fra tutti, il just in time made in Toyota) dà i suoi frutti, è anche vero che tale sistema si ripercuote nei momenti di crisi.

Una grande azienda come Toyota, per esempio, chiude immediatamente i “rubinetti” che coinvolgono l’indotto. Negli altri Paesi invece questi processi sono più lenti, perché non così legati alle esportazioni. Un altro elemento “d’innovazione” (a seconda dei punti di vista) introdotto in tempi favorevoli è la flessibilità della manodopera, che ha portato all’abbattimento del famoso mito dell’impiego a vita: una flessibilità che ora fa rima con facilità (nel licenziare).

Come si potrebbero inserire in tutto questo gli imprenditori italiani? Il comparto alimentare, almeno per il momento, sembra tenere (vedi l’articolo sul Foodex a pag. 7). E per chi ha “liquidi” a disposizione rivolgersi oggi al mercato immobiliare offrirebbe opportunità non trascurabili. A parte questo, rimane solo l’ottimismo e la fiducia nei giapponesi. Oppure affidarsi alla previsione di Hatakeyama: “la crisi finirà a ottobre del prossimo anno”.
Sarà proprio così?

------------------------
Noburo Hatakeyama, ex direttore della Jetro, è l’attuale direttore generale della Japan Economic Foundation (JEF) – fondazione costituita nel 1981 per approfondire la mutua conoscenza tra il Giappone e gli altri Paesi attraverso attività volte alla promozione degli scambi economici e tecnologici.
------------------------
(da Tokyo, Paolo Soldano - Newsletter della Camera di Commercio Italiana in Giappone, marzo09)

domenica 22 marzo 2009

Kanji, questi sconosciuti

Si sa, il giapponese (come tutte le lingue orientali) è difficile da imparare, e ancora di più da scrivere. Comprensibili dunque gli errori commessi dagli stranieri, affascinanti invece quelli fatti dai giapponesi. Il fascino raddoppia se perfino il capo del governo sbaglia a leggere la sua lingua madre facendo delle gaffe clamorose e sfiorando una crisi internazionale.
È successo a Taro Aso, attuale leader del governo giapponese, ormai famoso, e non solo in patria, per le sue devastanti “uscite”: durante un discorso ufficiale ha definito i rapporti con la Cina “ingombranti”, al posto di “frequenti”. Un lapsus? Certo che no, ha semplicemente sbagliato a leggere, anche perché non era la prima volta. In passato, parlando della politica della maggioranza, ha usato la parola “fetore” invece di “seguire”. È venuto fuori che il governo “puzzava”.
Come sono possibili questi errori? La scrittura giapponese ha due tipi di segni grafici: i kana (katakana e hiragana) e i kanji, gli ideogrammi derivati secoli fa dalla Cina. Avendo molti caratteri letture che variano a seconda del contesto, spesso è facile confondersi.
Non è mancata, da parte di qualche giornale scandalistico giapponese, perfino la pubblicazione della lista “ufficiale” dei kanji che il primo ministro non sarebbe in grado di leggere. Ma c’è poco da ridere: secondo un sondaggio condotto (proprio dal governo) nel 2007, almeno un quinto dei giapponesi di età superiore ai 16 anni si imbatte di frequente in qualche carattere che non sa interpretare, mentre il 30% ha problemi a riprodurli senza averli sott’occhio. E ben la metà degli intervistati confessa di dover ancora “fissare” ben a mente i 1.945 caratteri minimi, fissati dal Ministero dell’Istruzione, necessari alla vita quotidiana. Non a caso in Giappone spopolano libri per imparare a riconoscere (e a scrivere) gli ideogrammi. Uno degli ultimi successi editoriali? “I caratteri che sembrano semplici da leggere ma facili da confondere”: 800.000 copie vendute in pochi mesi.
(da Tokyo - pubblicato su "A" per "Così va il mondo", marzo 2009)

Giapponesi si nasce

Sono sempre stato affascinato da processioni, balli, culti, preghiere e riti propiziatori, e non c’è dubbio che il meraviglioso mondo delle feste popolari giapponesi rappresenti una realtà tutta da scoprire. E qualche volta impossibile da ignorare, soprattutto quando sono coinvolti 9.000 uomini radunati in una notte d’inverno, semi-nudi, esagitati e per di più bagnati con acqua fredda (per purificarsi). La Saidaiji Eyo (una delle tre più antiche cerimonie del Giappone) è arrivata quest’anno alla sua 500esima edizione, riuscendo a radunare migliaia di persone vestite solo di “fundoshi” (il perizoma giapponese, tanto per intenderci) propense a raggiungere in tutti i modi una sorta di amuleto dai leggendari flussi benefici. E tutto questo perché il “vincitore” possa essere eletto dai monaci del tempio “uomo fortunato dell’anno”. In confronto il “festival del fango” (padri che corrono – sempre mezzi nudi - nelle risaie infangate abbracciando i figli neonati per augurare loro un buon raccolto e una buona salute) ha molto più senso.
(da Tokyo - pubblicato su "A", marzo 2009)

Mistero di un tour

Pensavo di sapere quasi tutto sul meraviglioso mondo dei viaggi organizzati alla giapponese (5 giorni, 4 città, 2340 foto, tour operator e ombrellini). Finché non mi sono imbattuto nei “Mistery Tour”. Stanchi di scegliere la vostra destinazione? Confusi perché proprio non sapete dove andare? Semplicemente troppo pigri per organizzare il vostro viaggio? I “Mistery Tour” fanno proprio al caso vostro. Basta comprare tramite agenzia un pacchetto “misterioso”, scegliendo tra diverse opzioni ma senza conoscere la destinazione finale. Si può optare tra “Asia” (circa 120 euro per 3 giorni), “Spiaggia” (200 euro, 4 giorni), perfino “Europa” (600 euro, 9 giorni). Il programma prevede (traduzione letterale) “Tokyo Narita - Da Qualche Parte – Tokyo Narita”. Se invece il tempo scarseggia e il coraggio di affrontare l’ignoto manca, meglio affidarsi al pacchetto “Giappone” (1 giorno, 20 euro) oppure rilassarsi con il pacchetto “Onsen” (il bagno termale tipico giapponese): una notte a meno di 60 euro colazione e cena comprese. A voi, esplorator di novelli lidi.
(da Tokyo - pubblicato su "A", marzo 2009)

Cinesi sì, ma con i soldi

L’immigrazione clandestina in Giappone è un fenomeno che farebbe ridere qualsiasi ministro europeo: trovare un immigrato senza permesso di soggiorno è cosa rara, complice la (tradizionale) chiusura della società giapponese, che in certi casi colpisce anche i turisti. Un esempio? I cinesi. Al momento i visti turistici per visitatori provenienti dalla Cina sono dati solo a gruppi che vanno dalle 5 alle 40 persone, obbligatoriamente con guida al seguito. Oppure a piccoli gruppi familiari (2/3 persone) con un reddito annuale di 250.000 yuan o 3,3 milioni di yen, cioè più di 27.000 euro. Non so quanti turisti italiani potrebbero permettersi una vacanza in Giappone, se questo fosse applicato anche nei nostri confronti. Ad ogni modo, le cose stanno cambiando. Probilmente a causa della crisi, il governo sta finalmente prendendo in considerazione di permettere le visite “singole” anche per i cinesi. Sempre senza esagerare: sì al visto ma solo ai turisti che garantiscono certi "criteri di agiatezza", tra cui essere frequent flyer e possedere almeno una carta di credito. Viva la tolleranza del portafoglio.
(Febbraio '09)

martedì 24 febbraio 2009

Sabbia Ovunque

Si fa presto a dire “l’isola di sabbia più grande del mondo”. Ma solo quando sbarchi, a Fraser Island, ti rendi conto che non capita tutti i giorni di avere sotto i piedi 123 chilometri per 22 di larghezza (nel punto più ampio) di sabbia. Se mai avrete occasione, ecco le 5 cose imperdibili da fare: un tour su un pulmino 4x4 di 40 posti rialzato da terra di un metro e mezzo (il mio era guidato dal ranger Chris); un bagno nelle acque del lago McKenkie, con l’acqua più cristallina (e la sabbia più fine) che abbia mai visto; una foto ai dingo, i cosiddetti “cani australiani”, una via di mezzo tra lupi e volpi ma meno cattivi e meno furbi (attenzione comunque a lasciare lo zaino incustodito con i vostri panini); una passeggiata nella foresta pluviale, possibilmente lungo uno dei torrenti dell’isola; una visita al relitto della nave Maheno, andata alla deriva nel 1935, completamente arrugginita ma ancora affascinante. Non credo proprio sia un caso che nella lingua degli aborigeni l’isola si chiami, semplicemente, “Paradiso”.

OUTBACK

L’Outback è quella parte centrale dell’Australia dove non ci sono che fattorie sparse qua e là (con vecchi forni a micro-onde come cassette delle lettere), miniere di carbone ancora attive e una miriade di meravigliosi paesaggi che si aprono a ogni chilometro che macini. L’unico modo per viverlo è affittare una macchina, meglio se 4x4, e cominciare a guidare senza sosta lungo le statali a corsie uniche. Ce ne sono solo quattro che tagliano l’Outback del Queensland da est a ovest: io ho percorso quella centrale, la Capricorn Highway, chiamata così perché segue il Tropico del Capricorno. Luoghi fuori dal tempo, con cittadine abitate da una manciata di persone, insegne dei negozi dipinte ancora a mano e stanze di motel che non hanno chiavi. Un paio di avvertimenti, oltre al fatto che c’è un benzinaio ogni 150 chilometri e molte strade sono sterrate: fate attenzione a canguri, struzzi o mucche che potrebbero tagliarvi la strada e ai “Road Train”, tir che possono arrivare ai 50 metri di lunghezza. Per il resto, il senso di libertà è assicurato.

domenica 8 febbraio 2009

Spiaggiati e felici

Brisbane è una città senza troppe pretese, dove non è difficile imbattersi in qualche pappagallo subtropicale appollaiato su un albero o frotte di coreani spaesati. Ideale per viverci (così mi ha detto un brisbanese doc originario dell’Olanda), certo non brillante dal punto di vista turistico. La parte migliore dove trascorrere la giornata è senz’altro South Bank, lungo il Brisbane River (viva la fantasia): centri culturali, musei, un conservatorio, un teatro d’opera, caffè, ristoranti, bar, immancabile ruota panoramica, cinema, università, perfino un mercatino all’aperto e (perché no?) una pagoda nepalese e la Suncorp Piazza (testuale). Il tutto aggrovigliato in pochi chilometri quadrati a pochi passi dal fiume. Camminavo entusiasta in una galleria di fiori viola con la mia macchina fotografica, e cosa mi trovo davanti? La Streets Beach. Proprio una spiaggia, con tanto di sabbia, bagnini, gabbiani e bambini sguazzanti nonostante la giornata grigia e qualche goccia di pioggia. Sotto i pantaloncini avevo il costume, ma non ce l’ho proprio fatta: io non sono un brisbanese doc.
(da Brisbane, Paolo Soldano - pubblicato su "A" numero 6/'09)

sabato 24 gennaio 2009

Fallo dove vuoi. Ma non sulla metro

Please do it at home ("Per favore, fallo a casa") è la straordinaria "campagna delle buone maniere" iniziata ad aprile dell'anno scorso dalla Tokyo Metro Corporation, società che gestisce 9 linee della metropolitana di Tokyo.

Ogni mese un nuovo manifesto invade stazioni e banchine: si va dal non parlare al telefonino al non truccarsi, dal non stravaccarsi sul sedile al non usare l'ombrello come mazza da golf, dal non ascoltare la musica a volume troppo alto al non cercare di prendere la metro quando le porte si stanno per chiudere. La grafica è semplice e il messaggio ben evidente: per favore fallo a casa, al bar, in montagna, sulla spiaggia, su un campo da golf. Ma non in metropolitana. Sempre lo stesso signore (l'occhio del Grande Fratello) fa da spettatore: guarda, sopporta e tace. Ma giudica in modo categorico. Eccolo qui, il Giappone: tanto accogliente quanto inflessi
bile, tanto regolamentato quanto bizzarro.
Ma è proprio vero che i giapponesi non sanno come comportarsi in metropolitana? Se lasciamo perdere chi si eccita facendo la mano morta durante il sovraffollamento mattutino (e che ha portato all'istituzione della carrozza riservata, fino alle 9:30, alle donne), non si può certo dire che sui vagoni si respiri un'atmosfera così selvaggia come i manifesti lasciano intendere. È vero: ragazzine che si truccano, ubriachi ondeggianti sull'ultimo treno di mezzanotte ed esagitati che ascoltano musica ad alto volume ci sono, ma in una metropoli che conta più di 12 milioni di abitanti (e dove comunque il tasso di criminalità è tra i più bassi al mondo) ci si aspetterebbe ben di peggio. Ad ogni modo, la campagna durerà fino a marzo, sperando che "l'etichetta metropolitana" dia i suoi frutti.

(da Tokyo, Paolo Soldano - pubblicato su "A")

lunedì 5 gennaio 2009

IO NON SONO COME VOI

Immaginatevi una specie di “gara di giochi di parole”, e che ogni anno una giuria si riunisca per consegnare un premio per le 10 migliori nuove espressioni direttamente a chi li ha inventate. Ora provate a pensare a un ex Primo Ministro che rifiuta di ritirare il riconoscimento perché in realtà il suo gioco di parole, ha confessato, “non era del tutto farina del mio sacco”. Benvenuti in Giappone, dove anche quest’anno sono state premiate le prime 10 espressioni più “cool”. Tra le migliori: “Arafo”, che sta per “donne around 40” (letta alla giapponese); “Geriragou” (“forti piogge improvvise”), coniata dalla società meteo “Weathernews”; “koki koreisha” (“l’ultimo palcoscenico dell’anziano”), espressione inventata da un ottantenne detentore del record di sprint nella competizione di Atletica per Anziani del Giappone. Dimenticavo la frase dell’ex Primo Ministro, che suona “Io sono diverso da voi”. Sapete quando l’ha usata? In una conferenza stampa il giorno delle sue dimissioni.
(da Tokyo, 3 dicembre, pubblicato sul primo numero del 2009 di "A")

domenica 4 gennaio 2009

LINEA DIRETTA IBARAKI-SIBARI

Che cosa potranno mai avere in comune la cittadina di Sibari (frazione di Cassano allo Ionio, Calabria) e la prefettura di Ibaraki (nord di Tokyo, Giappone)? Certo non il numero di abitanti (intorno ai 5 mila la prima, più di 3 milioni la seconda) o le specialità culinarie (vino, olio e pesce per Sibari; riso, carne di maiale e radici per Ibaraki). Tanto meno la principale attrazione turistica (scavi archeologici contro tempio scintoista di Kashima). Cosa, allora?
L’imminente costruzione di un aeroporto completamente inutile. Apertura a marzo 2010, per un costo complessivo di circa 210 milioni di euro, per quello di Ibaraki, a 30 minuti di macchina dal “capoluogo” Mita e senza collegamenti ferroviari (Japan Airlines e ANA, che operano il 90% dei voli nel Paese, hanno già detto che non hanno la minima intenzione di usarlo). Già deciso anche il finanziamento regionale per il quarto aeroporto della Calabria, dove si sentiva la necessità di un hub per “aprire le porte all’Oriente” (assessore al Turismo dixit).
Devo capire come si dice “non ho parole” in giapponese.
(da Tokyo, 3 dicembre '08, pubblicato su "A" numero 51)