Quando facevo l’insegnante d’ italiano era la classica domanda che ogni giorno gli studenti mi rivolgevano: “Perché il Giappone?”. E io recitavo a comando: “Mi piace viaggiare, fare nuove esperienze, conoscere nuove culture”. Dopo più di un anno nella terra del Sol Levante, prima a Osaka, ora a Tokyo, sono io a farmi la stessa domanda, praticamente ogni giorno, ma la risposta è ben diversa. La verità è che in Italia mi sentivo in una sorta di prigione: non vedevo il mio futuro ed ero oppresso dal passato; non cercavo più risposte e, soprattutto, non mi facevo più domande. Nonostante tutte le barriere culturali e le difficoltà avute (come trovare un posto di lavoro, un appartamento e un garante, il tutto senza praticamente parlare giapponese) il Giappone ormai è la mia seconda patria: ho scoperto quella parte di me stesso che ancora mi mancava, e con la quale riesco a dialogare meglio.
Tokyo, come tutte le megalopoli, non rappresenta il Paese. È una sorta di conglomerato di più città, l’una a fianco all’altra, una sopra l’altra. Grattacieli, confusione, ansia dell’ultimo treno, bar, locali di ogni sorta, decine di milioni di persone che quotidianamente si sfiorano e una immensa solitudine che angoscia. Ma se si tolgono le classiche zone “da turista”, che hanno contribuito a costruire lo stereotipo “Tokyo e i giapponesi”, come Roppongi o Shibuya, questa città è fatta anche di umanità che vive con meno di 1.000 euro al mese, di dignitosi senza tetto che non chiedono l’elemosina, di gente come me che vive in una palazzina di due piani in una zona popolare, paga un affitto di 420 euro e può permettersi di vivere da solo. Il mito del Giappone “caro e impossibile” è storia vecchia, che risale all’epoca della “bolla economica” degli anni ’80. Senza troppe pretese, qui si può mangiare con meno di 5 euro, andarsene in giro in bici e passare un’allegra serata sbevazzando tutta la notte e prendendo la prima metro del mattino senza lasciarci il portafoglio. Certo, avere una macchina e affittare un posto auto è tutt’altro discorso.
In Giappone si può fare la spesa alle 4 del mattino, appoggiare senza problemi la borsa in un fast food e stare certo che i treni arrivano puntuali (si vocifera che il ritardo accumulato negli ultimi anni sia in media di 30 secondi).
Quando si ha la sensazione che nel posto dove vivi ogni giorno tutto può accadere, che ogni cosa è possibile perché basta volerla, è difficile staccarsene.
Non sono più in transito qui.
Ci vivo.
(Tokyo, 15 settembre 2008, "A" numero 39)
giovedì 25 settembre 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
6 commenti:
Ti capisco perfettamente sono stato a hukui nel 2006 per lavoro, Per me è stato scioccante la realtà Giapponese poi mi sono abituato è ho cominciato a capiarla e appezzarla.
mi manca lo stare là.
Ciao
Andrea
e le lasagne?
cotoletta from milan
"...mi dissero una volta che me n'ero andato.. ma quando??però quando se sempre sto tornando a casa, quartiere, città e mai nessuno di voi è il mio quartiere, il mio Barrio...così lo chiamerò il posto dove mi sentirò uno di voi e le vostre voci lontane saranno musica per il mio cuore, di modo che se fossi nel mio Barrio avrei spalle su cui appoggiare le mani e orecchie a cui confessarmi...e casa.. e luna.. e stelle che dall'alto sul tetto della casa dei miei vecchi mi direbbero "fermati qui..." (Vinicio Capossela)
baci
tella
smettetela di bere cazzo...
el pampa papà...
Comunque, per me il "problema" non è affatto quello di non sapere il giapponese. L'indispensabile è saper fare qualcosa, avere una laurea in materie tipo ingegneria, possedere qualche abilità che ti renda utile per un lavoro in Giappone.
Tutte cose che io non ho, perché da perdente quale sono a suo tempo ho scelto di fare lingue orientali (una roba così inutile, a fini pratici, che secondo me dovrebbero dichiararla illegale, LOL) e praticamente mi sono rovinata con le mie mani XD
Le tue parole sono i miei pensieri.
Infondo, siamo arrivati in quell' ufficio assieme una mattina piovosa.
Il vortice urbano di questo secolo è Tokyo, Nakano è il nostro barrio.
La vita è una sola.
Posta un commento