(di Paolo Soldano - pubblicato in versione ridotta su
Il Mondo del 3/4/09)
Disoccupazione e agitazioni sociali, classe politica impopolare e malvoluta, crollo delle esportazioni. La crisi imperversa senza tregua sul Paese del Sol Levante mostrando sempre di più il “volto umano” della (ancora per poco?) seconda economia mondiale.Il Mondo del 3/4/09)
Fine dell’impiego a vita
È da poco uscito un libro dal titolo “Non mettere la tua vita a servizio dell’azienda” (“Kaisha ni jinsei o azukenura”). La tesi dell’autrice, Kazuyo Katsuma (analista in carriera di quarant’anni che gira in bici per le strade di Tokyo, 14 libri pubblicati e 3 figli) è tanto semplice quanto sconcertante, almeno fino a qualche anno fa: i giapponesi dovrebbero riconsiderare l’impiego a vita e cambiare il loro modo di pensare riguardo al rischio. “Molti confondono rischio con pericolo” – ha detto Katsuma in una recente intervista al Japan Times – “I rischi sono opportunità che arrivano in circostanze eccezionali”. Dunque tutti dovrebbero avere la “libertà di correrli”, e finirla di cacciarsi in situazioni come l’impiego a vita, dove “si entra in azienda a 22 anni e si esce a 60 con la pensione. Oggigiorno è del tutto insensato credere che un’azienda possa mantenere una stabilità finanziaria per un arco di tempo così lungo”.
Pensiero controcorrente? A quanto pare no.
La crisi imperversa come uno tsunami sul gigante giapponese e le cose, a poco a poco, stanno cambiando, tra licenziamenti e aumento dei senzatetto.
Nella sola area metropolitana di Tokyo (almeno secondo le ultime stime ufficiali del Ministero del Lavoro, risalenti al 2007) sarebbero 2.000 le persone costrette a passare la notte negli “internet caffè”, che si stanno sempre di più trasformando alberghi a ore dove si può anche mangiare, dormire e farsi una doccia. Vero e proprio rifugio per senzatetto e per chi, la mattina dopo, pur non avendo una casa, va a lavorare. E il numero di persone registrate alla Tokyo Challenge Net, centro di assistenza sociale nato l’anno scorso nella capitale proprio per sostenere i rifugiati dei net caffè nella ricerca di casa, lavoro e prestiti agevolati, ha raggiunto a marzo quota 1.002, il 33% dei quali costituito da trentenni.
Le aziende corrono ai ripari come possono: riducendo il personale, imponendo ferie non pagate anche una volta alla settimana, non mantenendo le promesse prese con i neolaureati.
Si è anche raggiunto da poco un accordo tra il governo e la Japan Business Federation (associazione che conta al suo interno più di 1.300 aziende) per il “job sharing”. “Lavorare meno, lavorare tutti”, recitava un vecchio slogan, e in Giappone sembra oggi la via da seguire: dopo Toyota, Toshiba e Nissan, è certo che molti seguiranno il modello.
Tensioni sociali
In un Paese dove protestare non fa parte del DNA della società civile, colpisce l’agitazione di marzo dei dipendenti dell’Ana (All Nippon Airways) – la settima compagnia aerea nel mondo e la più importante per quanto riguarda i voli interni. Indetto da quattro sigle sindacali in seguito ai tagli per 14 miliardi di yen (circa 1,2 miliardi di euro) previsti dalla compagnia, che ha accusato perdite per 9 miliardi di yen (72 milioni di euro – meno 18,1% di voli in meno solo a dicembre) nell’anno fiscale appena concluso, lo sciopero di 24 ore ha causato disagi a quasi 10.000 passeggeri, con 137 voli cancellati e 30 ritardati.
Sembra proprio che tutti i nodi stiano venendo al pettine.
Secondo quanto è emerso da una recente analisi dell’International Labour Organization (agenzia delle Nazioni Unite) i senza lavoro che non ricevono sussidi di disoccupazione in Giappone ammontano al 77% dei disoccupati, la proporzione più alta tra le nazioni industriali. La relazione dell’Organizzazione, che ha coperto 8 “grandi” nazioni incluse quelle emergenti dal punto di vista economico, mostra che il Brasile ha la più alta percentuale di senza lavoro (93%) che non ricevono sussidi, seguito dalla Cina (84%), dal Giappone (77%), dagli Stati Uniti e dal Canada (entrambi al 57%). La percentuale scende a meno del 20% per Francia (18) e Germania (13).
I primi a pagarne le conseguenze sono, ovviamente, gli stranieri, a cominciare dalla folta comunità latina, soprattutto brasiliana (i cosiddetti «nisei», cioè i nipoti degli emigranti giapponesi che nel secolo scorso andarono in Sud America a cercar fortuna, e che poi tornarono all’epoca della bolla economica). Su 320 mila “nisei” ufficialmente registrati, circa la metà è senza lavoro.
La differenza tra un disoccupato giapponese e uno straniero? Per il secondo perdere il lavoro non è una vergogna, per il primo sì: è una macchia indelebile che mina i rapporti familiari e sociali e che spesso sfocia nel suicidio: nel solo mese di gennaio 2.645 persone si sono tolte la vita, in media una ogni 20 minuti.
Cifre comunque leggermente superiori rispetto al solito e derivate solo in parte dalla crisi in atto: con i suoi 33.000 suicidi l’anno di media, il Giappone è da anni tristemente al top delle classifiche mondiali.
Confusione e scandali politici
Alle prese con la burrascosa crisi internazionale, che in Giappone ha colpito principalmente il settore delle esportazioni (nell’ultimo trimestre del 2008 l’economia ha registrato la sua peggiore performance degli ultimi 35 anni, segnando un meno 12,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), non passa giorno senza che il governo annunci nuove manovre, incentivi ai consumi, sostegni alle famiglie, prestiti agevolati.
Tre primi ministri si sono avvicendati in meno di 2 anni, con Taro Aso, attuale capo di governo, che secondo i ben informati sarà costretto a indire nuove elezioni al più tardi a maggio, anche perché il suo tasso di popolarità (almeno secondo l’ultimo sondaggio condotto dall’agenzia di stampa Kyodo) ha toccato il minimo storico dell’11%. Impopolarità registrata a tutti i livelli: a detta della società finanziaria Nomura Securities, Aso sarebbe il fattore più negativo del 2009 per il mercato azionario giapponese.
L’indice congiunturale (la fiducia che le aziende dimostrano nell’economia) stilato dal governo tra i top manager giapponesi, è sceso al livello più basso degli ultimi cinque anni. Le aziende prevedono un calo dei profitti lordi in media del 41,2 % nell’anno fiscale terminato a marzo, e di un ulteriore 10,7 % ad aprile. Conseguenza? Tagli agli investimenti degli stabilimenti e delle attrezzature del 10,3% quest’anno e del 29,4 % nel prossimo. E il primo trimestre del 2009 potrebbe dimostrarsi altrettanto negativo, è l’ultima previsione del Ministro delle Finanze Kaoru Yosano.
In una situazione di questo genere, cala ancora di più la fiducia in una classe politica da poco coinvolta nello scandalo sui finanziamenti illeciti ai partiti, che ha come epicentro la società di costruzioni Nishimatsu e che ha colpito prima il maggior partito di opposizione (con il suo leader che ha usato toni forti nei confronti dei magistrati, dicendo che “hanno superato i loro limiti”) e sta ora intaccando anche quello di maggioranza.
Nel frattempo, continua il dibattito sulla riduzione del numero dei parlamentari e dei loro stipendi, proposta che periodicamente fa capolino tra i diversi schieramenti senza mai trovare sbocco attuativo. Sembrano passati decenni dal governo Koizumi, in carica dal 2001 al 2006, grazie al quale pareva che il Giappone fosse finalmente riuscito a uscire dalla famosa “lost decade”, il periodo di stagnazione economica degli anni ‘90 seguito alla scoppio della “bolla”.
Le crisi, secondo qualcuno, sono opportunità di cambiamento.
Vedremo quanto effettivamente riuscirà a cambiare il Giappone.
P.S.
1 commento:
Fortunatamente il sistema politico giapponese e` "autoreggente", nel senso che si sostiene da solo indipendentemente da chi va su, o, vista da un'altra angolazione, non importa chi vada su tanto le cose non cambiano. A quanto pare il Giappone e` una macchina ben congegnata ed oliata che non ha bisogno di un buon pilota. Nel bene o nel male se le cose non fossero il Giappone non sarebbe che un'altra Italia.
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