C’È LUCE IN FONDO AL TUNNEL?
Crollo delle esportazioni, previsioni pessimistice, licenziamenti.
Sembra proprio che una nuova “lost decade” sia cominciata.
(da Tokyo, Paolo Soldano - pubblicato sulla Newsletter della Camera di Commercio Italiana in Giappone, marzo 09)
In un Paese dove nell'ultimo trimestre 2008 il prodotto interno lordo ha subito la peggiore contrazione dai tempi della crisi petrolifera del 1974, segnando un -12,1% su base annua (- 3,2% rispetto al trimestre precedente), il futuro appare a tinte fosche.
Dopo il periodo degli anni ‘90 ribattezzato “decade perduta” (“ushinawareta jūnen”o “the lost decade or end of the century”), il Giappone, faticosamente uscito dal decennio di stagnazione, sta subendo pesantemente gli effetti della crisi internazionale.
Che sia l’inizio di una nuova, più profonda “lost decade”?
Difficile dirlo e difficile fare previsioni. Se si guardano i dati, essere ottimisti non è così facile: il valore reale dello yen nei confronti del dollaro e delle altre principali valute ha raggiunto a dicembre il livello più alto dal 1970, i fallimenti aziendali nell’anno passato sono aumentate dell’11% (la cifra più alta degli ultimi otto anni), e il numero di suicidi ha raggiunto quota 2.645 nel solo mese di gennaio (in media uno ogni 20 minuti).
Noburo Hatakeyama, direttore della Japan Economic Foundation, in un articolo dal titolo “Quando la crisi toccherà il fondo?” (comparso sull’ultimo numero della rivista “Japan Spotlight”) scrive che essa non finirà fino a quando i problemi strutturali (che, nel caso degli Stati Uniti, comprendono per esempio le eccessive forme di indebitamento per il consumo privato) non verranno risolti.
Con la domanda di beni e servizi da parte dei Paesi industrializzati in costante calo, un altro modo di uscire dalla crisi potrebbe essere quello (sempre secondo Hatakeyama) di investire in innovazione tecnologica, soprattutto nei settori chiave legati al mondo dell’ecologia e dei servizi agli anziani.
Facendo un passo indietro, sarebbe bene analizzare in primo luogo le peculiarità del “Sistema Giappone”. Oltre ai sempre più evidenti problemi di leadership politica, il Giappone è un Paese che da sempre “prende ordini” (nel senso di ordinativi): poiché il vero malato è il committente, il crollo delle esportazioni terminerà solo quando il paziente si rimetterà in sesto. In secondo luogo, l’apparato industriale giapponese è molto elastico: se nei momenti di crescita l’ottimizzazione dei processi produttivi (uno fra tutti, il just in time made in Toyota) dà i suoi frutti, è anche vero che tale sistema si ripercuote nei momenti di crisi.
Una grande azienda come Toyota, per esempio, chiude immediatamente i “rubinetti” che coinvolgono l’indotto. Negli altri Paesi invece questi processi sono più lenti, perché non così legati alle esportazioni. Un altro elemento “d’innovazione” (a seconda dei punti di vista) introdotto in tempi favorevoli è la flessibilità della manodopera, che ha portato all’abbattimento del famoso mito dell’impiego a vita: una flessibilità che ora fa rima con facilità (nel licenziare).
Come si potrebbero inserire in tutto questo gli imprenditori italiani? Il comparto alimentare, almeno per il momento, sembra tenere (vedi l’articolo sul Foodex a pag. 7). E per chi ha “liquidi” a disposizione rivolgersi oggi al mercato immobiliare offrirebbe opportunità non trascurabili. A parte questo, rimane solo l’ottimismo e la fiducia nei giapponesi. Oppure affidarsi alla previsione di Hatakeyama: “la crisi finirà a ottobre del prossimo anno”.
Sarà proprio così?
------------------------
Noburo Hatakeyama, ex direttore della Jetro, è l’attuale direttore generale della Japan Economic Foundation (JEF) – fondazione costituita nel 1981 per approfondire la mutua conoscenza tra il Giappone e gli altri Paesi attraverso attività volte alla promozione degli scambi economici e tecnologici.
------------------------
(da Tokyo, Paolo Soldano - Newsletter della Camera di Commercio Italiana in Giappone, marzo09)
Crollo delle esportazioni, previsioni pessimistice, licenziamenti.
Sembra proprio che una nuova “lost decade” sia cominciata.
(da Tokyo, Paolo Soldano - pubblicato sulla Newsletter della Camera di Commercio Italiana in Giappone, marzo 09)
In un Paese dove nell'ultimo trimestre 2008 il prodotto interno lordo ha subito la peggiore contrazione dai tempi della crisi petrolifera del 1974, segnando un -12,1% su base annua (- 3,2% rispetto al trimestre precedente), il futuro appare a tinte fosche.
Dopo il periodo degli anni ‘90 ribattezzato “decade perduta” (“ushinawareta jūnen”o “the lost decade or end of the century”), il Giappone, faticosamente uscito dal decennio di stagnazione, sta subendo pesantemente gli effetti della crisi internazionale.
Che sia l’inizio di una nuova, più profonda “lost decade”?
Difficile dirlo e difficile fare previsioni. Se si guardano i dati, essere ottimisti non è così facile: il valore reale dello yen nei confronti del dollaro e delle altre principali valute ha raggiunto a dicembre il livello più alto dal 1970, i fallimenti aziendali nell’anno passato sono aumentate dell’11% (la cifra più alta degli ultimi otto anni), e il numero di suicidi ha raggiunto quota 2.645 nel solo mese di gennaio (in media uno ogni 20 minuti).
Noburo Hatakeyama, direttore della Japan Economic Foundation, in un articolo dal titolo “Quando la crisi toccherà il fondo?” (comparso sull’ultimo numero della rivista “Japan Spotlight”) scrive che essa non finirà fino a quando i problemi strutturali (che, nel caso degli Stati Uniti, comprendono per esempio le eccessive forme di indebitamento per il consumo privato) non verranno risolti.
Con la domanda di beni e servizi da parte dei Paesi industrializzati in costante calo, un altro modo di uscire dalla crisi potrebbe essere quello (sempre secondo Hatakeyama) di investire in innovazione tecnologica, soprattutto nei settori chiave legati al mondo dell’ecologia e dei servizi agli anziani.
Facendo un passo indietro, sarebbe bene analizzare in primo luogo le peculiarità del “Sistema Giappone”. Oltre ai sempre più evidenti problemi di leadership politica, il Giappone è un Paese che da sempre “prende ordini” (nel senso di ordinativi): poiché il vero malato è il committente, il crollo delle esportazioni terminerà solo quando il paziente si rimetterà in sesto. In secondo luogo, l’apparato industriale giapponese è molto elastico: se nei momenti di crescita l’ottimizzazione dei processi produttivi (uno fra tutti, il just in time made in Toyota) dà i suoi frutti, è anche vero che tale sistema si ripercuote nei momenti di crisi.
Una grande azienda come Toyota, per esempio, chiude immediatamente i “rubinetti” che coinvolgono l’indotto. Negli altri Paesi invece questi processi sono più lenti, perché non così legati alle esportazioni. Un altro elemento “d’innovazione” (a seconda dei punti di vista) introdotto in tempi favorevoli è la flessibilità della manodopera, che ha portato all’abbattimento del famoso mito dell’impiego a vita: una flessibilità che ora fa rima con facilità (nel licenziare).
Come si potrebbero inserire in tutto questo gli imprenditori italiani? Il comparto alimentare, almeno per il momento, sembra tenere (vedi l’articolo sul Foodex a pag. 7). E per chi ha “liquidi” a disposizione rivolgersi oggi al mercato immobiliare offrirebbe opportunità non trascurabili. A parte questo, rimane solo l’ottimismo e la fiducia nei giapponesi. Oppure affidarsi alla previsione di Hatakeyama: “la crisi finirà a ottobre del prossimo anno”.
Sarà proprio così?
------------------------
Noburo Hatakeyama, ex direttore della Jetro, è l’attuale direttore generale della Japan Economic Foundation (JEF) – fondazione costituita nel 1981 per approfondire la mutua conoscenza tra il Giappone e gli altri Paesi attraverso attività volte alla promozione degli scambi economici e tecnologici.
------------------------
(da Tokyo, Paolo Soldano - Newsletter della Camera di Commercio Italiana in Giappone, marzo09)