venerdì 12 dicembre 2008
ALGHE SECCHE E PASTA AL SUGO
(da Tokyo, Paolo Soldano - pubblicato su "A" numero 50)
giovedì 4 dicembre 2008
UN'ALBA DI TONNO E CAFFE'
(da Tokyo, 14 novembre, pubblicato su "A" numero 49)
sabato 22 novembre 2008
VORREI SPOSARE UN MANGA
(da Tokyo, 5 novembre, pubblicato su "A" numero 47)
venerdì 14 novembre 2008
HO VISTO COSE CHE VOI UMANI...
(da Tokyo, 29 ottobre, pubblicato su "A" numero 46)
venerdì 7 novembre 2008
MI ARRENDO AL KARAOKE
(da Tokyo, 23 ottobre, pubblicato su "A" numero 45)
giovedì 30 ottobre 2008
I GENI FANNO LA NANNA
(da Tokyo, 14 ottobre, pubblicato su "A" numero 44)
giovedì 16 ottobre 2008
INCONTENTABILI INCONTINENTI
Incredibile ma vero.
Sono d’accordo: mostrare l’utilizzo di “strumenti appropriati” a una popolazione che secondo alcune stime arriverà ad avere un milione di centenari nel 2050, e di cui già oggi più del 20% è over 65, è cosa utile e giusta. Ma era proprio necessario vestire i “modelli” con tutine aderenti nere, e approntare sketch (tipo quello in cui un anziano signore scuote la testa costernato dopo che la moglie scopre che ha bagnato di nuovo il letto) stile film muto di primo Novecento? Ad ogni modo c’è poco da ridere, il business è dietro l’angolo: le vendite di pannolini per adulti sono più che raddoppiate negli ultimi dieci anni, per un giro di affari di circa 500 milioni di dollari quest’anno. Mercato bagnato mercato fortunato.
(Tokyo, 26 settembre, pubblicato su "A" numero 42)
sabato 4 ottobre 2008
AAA CINQUANTENNE CERCASI
giovedì 25 settembre 2008
SPECIALE PER "VENTENNI"
Tokyo, come tutte le megalopoli, non rappresenta il Paese. È una sorta di conglomerato di più città, l’una a fianco all’altra, una sopra l’altra. Grattacieli, confusione, ansia dell’ultimo treno, bar, locali di ogni sorta, decine di milioni di persone che quotidianamente si sfiorano e una immensa solitudine che angoscia. Ma se si tolgono le classiche zone “da turista”, che hanno contribuito a costruire lo stereotipo “Tokyo e i giapponesi”, come Roppongi o Shibuya, questa città è fatta anche di umanità che vive con meno di 1.000 euro al mese, di dignitosi senza tetto che non chiedono l’elemosina, di gente come me che vive in una palazzina di due piani in una zona popolare, paga un affitto di 420 euro e può permettersi di vivere da solo. Il mito del Giappone “caro e impossibile” è storia vecchia, che risale all’epoca della “bolla economica” degli anni ’80. Senza troppe pretese, qui si può mangiare con meno di 5 euro, andarsene in giro in bici e passare un’allegra serata sbevazzando tutta la notte e prendendo la prima metro del mattino senza lasciarci il portafoglio. Certo, avere una macchina e affittare un posto auto è tutt’altro discorso.
In Giappone si può fare la spesa alle 4 del mattino, appoggiare senza problemi la borsa in un fast food e stare certo che i treni arrivano puntuali (si vocifera che il ritardo accumulato negli ultimi anni sia in media di 30 secondi).
Quando si ha la sensazione che nel posto dove vivi ogni giorno tutto può accadere, che ogni cosa è possibile perché basta volerla, è difficile staccarsene.
Non sono più in transito qui.
Ci vivo.
(Tokyo, 15 settembre 2008, "A" numero 39)
domenica 21 settembre 2008
PICCOLI MOSTRI CRESCONO
Piccoli mostri crescono.
(Tokyo, 4 settembre, "A" numero 38)
domenica 14 settembre 2008
COM'E' BELLO IL MAR DI TERRA
(Tokyo, 27 agosto, "A" numero 37)
mercoledì 10 settembre 2008
YURIKO, CHI E' LA PRIMA DONNA CANDIDATA PREMIER
lunedì 8 settembre 2008
PROMESSE ITALIANE SULLE PASSERELLE DI TOKYO
Sei giovani promesse della moda sono partite dall'Italia e atterrate alla Japan Fashion Week.
Selezionate tra 120 candidate nell'ambito dell' "Incubatore della Moda", progetto nato con lo scopo di supportare le start-up di giovani imprese della moda, le sei giovani griffe che hanno presentato le collezioni primavera/estate 2009 hanno mostrato in anteprima assoluta le loro creazioni.
Ha aperto a.VE, ante vesperum edicta ("realizzati prima del tramonto") di Elena Pignata e Valentina Vizio, che presentano una collezione fatta di contrapposizione tra linee, forme e tessuti, materiali lucidi abbinati ad opachi, nello stesso tempo fluidi e costruiti. I colori predominanti sono spenti e scuri, con una predilizione per il nero e il grigio e un'unica accezione per l'estate: il lilla polveroso.
Per Gilda Giambra, di Gilda Giambra, alla sua seconda collezione, il mood è quello dell'ironia legata all'eleganza, con una forte ispirazione al circo: c'è un che di clownesco, con toni maschili e femminili che si uniscono in un'atmosfera da film muto anni '20.
Per BeeQueen, di Chicca Lualdi, l'interpretazione della femminilità è intesa come delicatezza dei toni e della materia: beige illuminati da filamenti metallici, bianchi impalpabili, lilla e azzurri in tonalità sofisticate. Semplice ma estremamente sofisticata, la "donna speciale" diBeeQueen è di un eleganza moderna dal gusto cosmopolita, senza ostentazioni né sfarzi, che segue uno stile fatto di delicatezza e pacatezza. Capi semplici, curati nelle linee e versatili, secondo il concetto del "price for value": alta qualità a prezzi accessibili.
San Andrès Milano, dello stilista messicano classe 1981 Andrès Caballero, propone invece una collezione fatta di creatività e funzionalità con un impronta retrò, dove si fondono mascolinità e femminilità, lusso della semplicità ed evoluzione delle forme classiche. La donna di San Andrès è forte ed elegante, apprezza il design e indossa qualità fatta di capi lavorati con tessuti di alta gamma e rifiniture sartoriali fatte a mano, che caratterizzano il marchio fin dal suo esordio.
Motivi farfallini per Leitmotiv, di Fabio Sasso e Juan Caro, secondo il concept "Life with butterfly": la farfalla al limite tra il naturale e l'artificiale, dal movimento pesante, meccanico, è il tema della nuova collezione, costituita da contrapposizioni, così come la gamma cromatica. Colori caldi si alternano a freddi, colori iridescenti si sostituiscono a colori opachi, per una donna in passaggio da un iper passato ad un iper futuro.
Ha chiuso Federico Sangalli Milano, di Federico Sangalli, che presenta la sua nuova collezione seguendo il concetto di "couture a porter". Capi realizzati con materiali preziosi, dai tagli geometrici, con giochi di luci e trasparenze. Il concept è quello della tecnicità nella ricerca della perferzione, facendo convivere lusso, classicità e portabilità. L'accostamento di materiali diversi, per struttura e peso, trova la sua fonte di ispirazione nel coreografo americano William Forsythe: organze in abiti da sera o per cappottini, nappe plissettate e drappeggiate come tessuti, materiali rigidi per arredamento in abiti da sera.
giovedì 4 settembre 2008
NON FERMATE LA SCALA MOBILE
Al decimo posto, il clima: “La stagione delle piogge finisce in Kyushu prima del normale”. Al nono, i furti: “Centinaia di pesche della buona fortuna rubate vicino Tokyo”, seguito a ruota da “Arrestato per rapina un uomo con una spada da samurai”e “Donna fugge da un rapinatore grazie a un tè e a una chiacchierata”. Al sesto posto, i cambiamenti demografici: “Un bambino su 30 nato nel 2006 ha un genitore non giapponese”. Al quinto, la cronaca nera, con un risvolto inquietante: “Studentessa accusata di aver ucciso il padre e di aver finto di essere il fratello”. Al quarto posto, le liberalizzazioni: “Cancellato il divieto di andare in bicicletta portando due bambini”. Sul podio, al terzo posto, società e costumi: “Insegnante arrestato per aver sbirciato sotto la gonna di una studentessa”; secondo classificato, l’emergenza cibo: “Morti 30.000 polli nell’incendio di Kagoshima”. E al primo posto, senza la benché minima ombra di dubbio, una notizia di fondamentale importanza, che ha giustamente trovato spazio sulle prime pagine di molti giornali giapponesi: “Venti feriti dall’improvviso stop di una scala mobile”.
(Tokyo, 4 agosto 2008)
martedì 2 settembre 2008
CLICK, TI SCATTO UNA "PURICULA"
(Tokyo, 9 agosto 2008)
giovedì 28 agosto 2008
FISCHIA PIANO PER FAVORE
(Tokyo, 25 luglio 2008)
domenica 24 agosto 2008
COSA NON SI FA PER UN TATAMI
(Tokyo, 17 luglio - n.33 di "A")
venerdì 1 agosto 2008
FALLO A CASA
(Tokyo, 7 luglio 2008)
venerdì 18 luglio 2008
NON APRITE QUELL'ARMADIO
(Tokyo, 27 giugno 2008)
martedì 15 luglio 2008
A QUALCUNO PIACE CARO
da Osaka, Paolo Soldano
(pubblicato su "Left" numero 47 il 23 novembre 2007)
Sono fermi agli angoli delle principali strade di Osaka, soprattutto nelle zone di Umeda e Shinsaibashi. Sembrano ragazzi come tanti altri, se non fosse per quel loro essere sempre in gruppi di due, massimo tre, vestire in maniera assolutamente perfetta - completo nero o bianco, scarpe a punta, lunghi capelli impomatati e falsamente ribelli - lo sguardo in perenne ricerca di ragazze alle quali proporsi: sono gli “intrattenitori” per sole donne, gli “host” (“hosto” per i giapponesi), moderne “geishe” al maschile.
Grazie a loro molte si sentono circondate, amate, volute, capite, desiderate.
E soprattutto, rispettate.
Per chi frequenta questi posti l’uomo è essenzialmente un prodotto, una merce: si sceglie da un menù in base a delle foto, esattamente come in un ristorante o in un bar, a seconda della bellezza, della descrizione, del prezzo.
E il gioco può cominciare.
Ci sono circa 100 host club nella sola Osaka, di cui solo una decina molto popolari. L’Easy è uno di questi.
Mio Asahina, 24 anni, capelli biondicci e sigaretta perennemente accesa, ne è il vicedirettore. Vanta 50 ragazzi sotto di sé, tutti tra i 18 e i 35 anni, che ruotano dalle 9 di sera alle 11 di mattina, l’ora di chiusura.
Da quanto tempo lavori all‘Easy?
Da tre anni. Prima il titolare di questo club [che ci vieta di fare foto per non imbarazzare le clienti] lavorava in un bar di Tokyo, dove l’ho conosciuto. Poi lui ha deciso di aprire un locale tutto suo a Osaka e io l’ho seguito.
Ti sei mai chiesto perché le donne vengono qui?
Penso che sia soprattutto per una questione di solitudine: vivere in una grande città e non avere con chi parlare fa il resto. In Giappone si dice “le persone sostengono le persone”.
Quando non le hai, però, non ti resta che pagare per averle, e anche tanto.
Una bottiglia di champagne costa mediamente tra i 250 e i 600 euro, ma le più care possono arrivare anche a 5.000. Negli ultimi tempi i prezzi stanno scendendo, sia a causa della concorrenza, sia per invogliare quante più donne possibili ad andare negli host club.
Chi riesce a spendere un intero stipendio medio in una sola serata, comunque, non manca mai.
Quanti anni hanno le donne che frequentano il club?
Ci sono donne dai 18 anni in su. Fino a quelle che potremmo chiamare “nonne”.
E che lavoro fanno per potersi permettere tutto questo?
Non ne sono molto sicuro, perché non chiedo mai del loro lavoro. Comunque ci sono casalinghe, impiegate. Penso che ci siano molte ragazze che fanno il nostro stesso mestiere.
La realtà, che Mio si guarda bene dal dire, è che quelle che spendono di più non sono solo hostess, ma soprattutto prostitute che cercano di “rilassarsi” in compagnia di uomini che le facciano divertire e che non chiedano loro del sesso. Il giro della prostituzione, dei “massaggi” e dei club per soli uomini alimenta un enorme business, una parte del quale finisce nelle tasche di giovani, come Mio, che non sanno neanche che farsene di tutti quei soldi.
Quanto guadagni in media in un anno?
Trenta milioni di yen [circa 180.000 euro]
Il tuo record mensile?
8 milioni di yen [48.000 euro]
Hai mai ricevuto dei regali dalle donne che frequentano questo locale?
No, niente regali dalle donne. L’agenzia non lo permette.
Ma altre sì: alcuni host hanno ricevuto gioielli, macchine, perfino appartamenti.
Cosa fai con il tuo stipendio?
Spendo tutto quello che guadagno, non ho messo da parte niente. Do qualche milione ai miei genitori, dopodichè faccio regali e compro le cose che mi piacciono. Non sono un tipo che risparmia.
Per quanto tempo continuerai a fare questo lavoro?
Non ho ancora deciso, e non voglio fissare una data. Finché le donne mi cercano e desiderano la mia compagnia continuerò a lavorare. Quando non mi vorranno più comincerò a pensare che è venuto il momento di smettere. Dopodichè voglio dedicarmi ad altro, aprire un locale ma diverso da questo.
Il talento dell’host sta nel capire i bisogni delle donne: deve soddisfare i loro bisogni, i loro desideri. La qualità essenziale è essere dei buoni parlatori e l’aspetto fisico non è così importante come si potrebbe credere. La cosa fondamentale è capire chi si ha di fronte, e circondarla di attenzioni.
“Divertirsi facendo soldi” è uno dei motti degli host, e non stupisce che ogni anno siano centinaia i pretendenti nella sola Osaka.
Ma i facili guadagni, le donne e l’alcol, sono solo alcune delle motivazioni che spingono i giovani a voler essere intrattenitori.
Come hai iniziato a lavorare come “Hosto”?
Prima facevo il facchino per un’azienda giapponese e avevo una ragazza che amavo molto. Quando lei mi ha lasciato ero distrutto, e volevo farle vedere chi ero. Ho iniziato così, ed ora eccomi qui.
Cosa fai al lavoro?
Sono un tipo che parla molto, anche perché penso che il mio lavoro consista soprattutto in questo. Se vedo che invece è la cliente a voler parlare mi trasformo in un buon ascoltatore. Cerco sempre di soddisfare al massimo le donne che vengono qui: devono provare un gusto particolare ed essere felici di stare con me.
Bere tutte le sere ti crea problemi di salute?
Bere fa parte del nostro lavoro, esattamente quanto il parlare. Dobbiamo bere molto anche per incentivare le donne a farlo. Poi è normale vomitare e ricominciare a bere. Qualche volta ci ubriachiamo.
Molti ragazzi si trasformano in confidenti, che appoggiano i progetti e le aspettative delle clienti. In questo modo si crea una vera e propria dipendenza, ben più profonda rispetto al semplice “passare una serata in compagnia”. Gli host possono essere molto diretti, e oltre a coprirle di complimenti, dicono alle ragazze come dovrebbero comportarsi o cosa dovrebbero fare. Danno loro dei consigli e dei suggerimenti pratici per affrontare la vita quotidiana.
La realtà si mischia così con la fantasia e il sogno, e molte prendono decisioni importanti, o lasciano il fidanzato, solo perché è l’host che gliel’ha consigliato.
Ci sono perfino dei posti speciali, all’interno dei club, dove si spende anche 50 euro per passare una sola ora in compagnia, senza essere visti dagli altri. E non è una questione di sesso, nella maggior parte dei casi, perché il sesso è vietato all’interno dei locali.
Ti sei mai innamorato di una delle clienti?
Si, qualche volta succede. Capita magari che sia molto carina, ti piaccia molto e quindi ti innamori.
Cosa fate in questi casi?
Quello che fanno di solito tutte le coppie: usciamo insieme, andiamo in giro, al cinema, a cena. Tutto quello che fanno le coppie normali.
E non sono gelose?
Dal momento che faccio il mestiere dell’intrattenitore le ragazze devono capire che si tratta di lavoro, dunque dico loro di non essere gelose. Altrimenti è davvero difficile.
Tu sei geloso?
Sì, lo sono.
Hai una fidanzata al momento?
No, ora no.
L’host è un regalo, un regalo che parla, che sta zitto quando deve, che ascolta, che beve, che balla, che canta, che fa tutto quello che vuoi: basta pagare il suo tempo, il suo corpo, la sua voce. Questo la maggior parte delle ragazze lo sa, ma è un gioco da cui è difficile staccarsi. Novelli Peter Pan, gli host portano le clienti in un mondo che non esiste, un mondo che fluttua a mezz’aria e non è da nessuna parte, una bolla di sapone alimentata a yen. È un mondo di illusioni, dove la merce principale è il sogno. La bugia, la regola.
Se fossero onesti, d’altronde, quasi certamente molte donne li odierebbero.
giovedì 10 luglio 2008
38 CENTIMETRI DI FIDANZATA
Un personale quanto spassionato consiglio agli omaccioni giapponesi che acquisteranno il prodotto: evitate di portare EMA in Italia. Il nome dell’azienda produttrice - Sega Toys - potrebbe suscitare una certa ilarità.
(Tokyo, 19 giugno 2008)
venerdì 4 luglio 2008
GOKIBURI
(Tokyo, 15 giugno 2008)
mercoledì 2 luglio 2008
WRITER SI DIVENTA
CAKE MANIA
Torte torte torte: tutti pazzi per le torte.
Pasticcerie che sembrano gioiellerie, locali con file all’ingresso, grandi magazzini traboccanti di dolciumi: in Giappone, soprattutto nelle grandi città come Osaka e Tokyo, sembra che la moda dei dolci all’occidentale stia crescendo sempre di più.
II concetto che esprime la cucina giapponese è l'estetica del cibo che mira alla perfezione unita alla massima semplicità. La preparazione degli alimenti tiene presente due regole, cotture brevi e grassi assenti, applicate per conservare intatto il sapore e assicurare la digeribilità. Sembra però che le cose siano un po’ cambiate, negli ultimi anni, da quando cioè i dolci all’occidentale, opulenti e abbondanti, grondano dagli scaffali di pasticcerie, supermercati e caffé.
Entrando nel piano sotterraneo di un grande magazzino giapponese si è subito investiti dal vociare dei clienti unito ai continui richiami dei commessi, che ogni secondo gridano “Prego!” o “Benvenuto!”. E tutto si trasforma in un enorme, elegantissimo mercato, dove gli odori si mischiano e la mente si confonde tra le centinaia di prodotti offerti. Tutto abbaglia, colpisce, inebria, avvolge. Tutto incuriosisce, attira, affascina e suscita stupore.
Nulla è lasciato al caso, ogni più piccolo dettaglio è curato, dalla perfetta disposizione con la quale vengono presentati i dolci alle impeccabili divise dei commessi, sorridenti e gentili da contratto.
Ogni torta è fatta rigorosamente a mano, sotto gli occhi dei clienti, sia nei locali che nelle pasticcerie. La frutta, bene prezioso in Giappone, è scelta minuziosamente e disposta con una attenzione sopraffina.
Il cibo, per essere considerato buono, deve infatti essere anche bello da vedere. La cultura dell’estetica non ammette defezioni: per piacere al palato un piatto, che sia di pesce o di carne, di riso o di tagliolini, deve anche piacere all’occhio. Questo vale ancora di più per i dolci.
Tra l’altro la "struttura" di un normale pasto non è basata su una serie di pietanze distinguibili (antipasti, primi, secondi ecc.). Stesso discorso vale per la divisione dei pasti nell'arco della giornata, nonché per gli orari "tipo" da dedicare a colazioni, pranzi e cene.
Si mangia qualsiasi cosa a qualsiasi ora del giorno e della notte, non c’è alcuna distinzione, complice il fatto che molti ristoranti sparsi ovunque sono aperti 24 ore su 24.
La contaminazione diventa dunque una scelta obbligata, il “fusion” una questione di sopravvivenza commerciale: la concorrenza è spietata, i clienti esigenti, le aspettative sempre più alte.
Esiste per esempio una variante della New York Cheese Cake, venduta in una famosa pasticceria di Osaka, dove l’esclusività del prodotto è data dal fatto che si può reperire solo tra l’una e le cinque del pomeriggio, e che il formaggio utilizzato, tra gli altri, è l’italianissimo Parmigiano Reggiano.
I menù variano il più possibile: ci sono dolci “del giorno”, “di stagione”, “tradizionali”, oltre alle “novità del mese”.
Siamo passati attraverso Halloween, dove non sono mancati i dolci di zucca o a forma di zucca, con l’arancione come colore predominante. E adesso si attende il meraviglio evento super commerciale del Natale, che in Giappone non è altro che uno dei tanti modi per spendere soldi.
Essendo un paese a maggioranza buddista e shintoista, il Natale non è infatti sentito come festa religiosa, ma unicamente “di moda”. Per gran parte dei giapponesi è più importante la Vigilia piuttosto che il 25, quando tutti vanno a lavorare come sempre. E c’è perfino qualcuno convinto che Natale sia il 24.
Tutte le pasticcerie o i grandi magazzini preparano un gran numero di torte e sperano di venderle almeno entro il giorno dopo, in quanto dal 26 dicembre incominciano i preparativi per le feste del ben più sentito, e tradizionale, Capodanno. C’è anche un detto, non molto carino, che paragona l‘età di una donna al Natale, alludendo al fatto che fino a 25 anni è in età da matrimonio, ma dopo quest’età ha bisogno di “grandi sconti” per trovare marito. E non manca il soprannome: le ragazze di questo tipo sono dette “torte natalizie invendute”. Per molte single giapponesi la notte della Vigilia diventa quindi di fondamentale importanza: bisogna scegliere il posto giusto e soprattutto l’uomo giusto con cui andare fuori a cena. La serata deve essere elegante e speciale, oltre che romantica, e molto fa il regalo ricevuto.
Se lo scorso anno la stravagante novità commerciale è stata la torta natalizia dal sorprendente nome di “Diamanti: miracolo della natura”, con 100 piccoli diamanti provenienti dal Sud Africa che impreziosivano il dolce al cioccolato, in vendita in unico esemplare alla “modica” cifra di 100 milioni di yen (circa 600.000 euro), quest’anno cosa ci riserverà l’inesauribile estro nipponico? Sicuramente qualcosa di ancor più sorprendente.
Ma come fanno le giapponesi a conciliare la loro linea perfetta, frutto di una dieta controllata e rigorosa, con le ipercaloriche porzioni dei dolci?
Semplice. Tutto sta nelle quantità e nell’eleganza.
Quantità, innanzitutto: le torte di qui in molti casi farebbero ridere a un qualsiasi goloso italiano. Spesso sembrano più degli assaggi che delle porzioni.
Eleganza: non c’è praticamente differenza, nei posti più chic, tra andare a fare spese e fare la spesa. Shopping e cibo sembrano la stessa cosa.
La maniacale ossessione nipponica per il packaging ha ovviamente colpito anche le pasticcerie e i caffé: torte e dolcetti sono doppiamente valorizzati dalla confezione che racchiude il tutto. Il sacchetto? In cartone duro, logo della pasticceria in rilievo, manici in corda. Esattamente come
E non sono solo le donne ad andare matte per queste cose.
Dal momento che, sembrerebbe, molti uomini di mezza età (i famosi “salary men” giapponesi) non amano essere visti mangiare torte e dolciumi vari in pubblico, un fast food aperto due anni fa a Tokyo si è inventato uno strano modo per vendere i propri dolci: farli sembrare hamburger e patatine. I golosoni un po’ timidi possono ora nascondersi dietro la virilità di un panino traboccante salsa o di untuose patatine per assaporare in realtà sapori ben diversi. Ogni prodotto venduto è un dolce, nonostante sembri qualcos’altro: il “pane” è in realtà pan di Spagna, il “ripieno” è di crema a diversi gusti, i “sottaceti” sono pezzi di kiwi.
E pensare che, almeno in teoria, in Giappone non esiste il concetto di dessert come in Occidente.
GUARDAMI, ESISTO
Osaka è una di quelle città dove perdersi è questione di un attimo, basta alzare la testa e tutto si confonde: le scritte diventano uguali, le strade tremendamente simili, punti di riferimento fissati poco prima svaniscono all’istante, in un senso di vertigine che qualche volta spaventa.
Esiste poi un quartiere, a Osaka, che si chiama Shinsaibashi, dove invece per non capire dove si è, e scuotere la testa, basta fermarsi a uno qualsiasi dei suoi angoli, e guardarsi intorno.
Una delle prime impressioni è che qui la moda, o meglio, le varie tendenze giovanili, sia sfuggita di mano un po’ a tutti.
La persistente idea di apparire il più possibile diversi e originali sembra quasi diventata un must, e non solo per le ragazze, ma per tutti quelli che frequentano questa zona.
Se da una parte ciò è lodevole, per la fantasia, la voglia di essere diversi e la capacità di inventiva, dall’altra, agli occhi di un occidentale, risulta tutto un po’ costruito, per non dire assurdo: gonnelline, gonnellone e gonnettine di ogni forma, misura, larghezza, lunghezza, colore, trasparenza; scarpe alte, altissime, ancora di più; ombrellini, parasoli, camicette, camicione, tacchi a spillo, pantaloni, pantaloncini -ini
-ini, canottierine -ine -ine; ricamate, a fantasia, a righe, a pois, in tinta unita e chi ne ha più ne metta.
Tra virtuosismi da scuole di moda ed esotismo suburbano, tra abrasioni e generosi lampi di effetti speciali combinati in modo a dir poco sorprendente, è davvero difficile capirci qualcosa: ragazze coperte quel tanto che basta da lasciare almeno un barlume di speranza all’immaginazione maschile, ragazzi che sembrano preoccupati più di “fare lo sguardo giusto” che di guardarsi attorno.
Se una signora di mezza età del Sud Italia riuscisse a vedere tutto questo, un appellativo che userebbe spesso sarebbe “scostumata”. E mai parola risulterebbe più appropriata, soprattutto nel senso letterale del termine, perché da queste parti sembra quasi che l’essere “senza costume”, senza vestito, sia una tendenza che va ben oltre la voglia d’estate. Se si considera anche il portamento, poi, che non è certo dei più signorili, il quadro è dipinto.
Insomma, un immaginifico coacervo di stili, una mirabolante accozzaglia di suggestioni pseudo-occidentali e tutte personali.
Ci sono quattro principali “categorie” femminili in mostra nelle vie di Shinsaibashi, escludendo le (poche) “normali”: “neogotiche”, “bambole”, “alternative”, “cotonate”.
Hanno tutte dai 15 ai 25 anni circa, la maggior parte non si fa influenzare dalla moda delle grandi marche, tutte passeggiano in questa zona per uno scopo: apparire.
Rie, 22 anni, “bambola”, mi fa promettere che la sua foto non girerà sul web, perché ha paura che venga usata da brutte persone: “Vengo qui ogni giorno, da sola, per passeggiare e guardarmi in giro. Compro i vestiti che indosso nel negozio dove lavoro come commessa”. I suoi interessi? “Mi piace fare turismo” mi dice sorridente, e non ho il coraggio di chiederle se di solito lo fa vestita così, con l’ampio vestito rosa e nero a pois gonfiato da sottoveste bianca in pizzo. Il suo sguardo è a dir poco fanciullesco, abbandono l’ironia e mi concentro sulla posa che assume per la foto.
Ci sono poi le neogotiche, colore predominante il nero, largo spazio a piercing, giarrettiere in vista, spesse calze autoreggenti a righe alternate e zeppe: nel loro stile “dark” rivisitato si distinguono subito per la loro eccentricità.
Ben diverse Yoko e Risa, 19 e 20 anni, “alternative”, entrambe di un’altezza vertiginosa anche senza tacchi: “Ci piace venire a Shinsaibashi un paio di volte alla settimana. Non guardiamo mai le riviste di moda, non vogliamo essere influenzate: seguiamo il nostro gusto”, ed è lampante sia così, basta osservarle un paio di secondi per capirlo. “Generalmente compriamo vintage, in un negozio di seconda mano”. Anche i loro interessi seguono questo stile. “Leggo letteratura surrealista giapponese”, mi dice Yoko, la più alta delle due “e adoro De Sade”. A Risa invece piace fare a maglia e leggere fantasy.
L’atmosfera è quella tipica dell’immaginario collettivo sul Giappone, un insieme di suggestioni che qui trovano conferma. Centinaia di ristoranti, locali, negozietti sempre aperti, karaoke, bar, love hotel, dvd shop, slot machine, pachinko, club, discoteche si susseguono uno dietro l’altro, e reclamano tutti le loro attrattive, colpendoti con neon luccicanti, con suoni e immagini e ragazzi che urlano invitandoti all’ingresso, o ragazze che sorridono mostrandoti menù e volantini. Fai un passo e si ricomincia, con tutto il gioco di luci, colori e scintillii di lampade intermittenti. Ti chiedi se la prefettura di Osaka abbia indetto un concorso per il locale più appariscente, poi ti rendi conto di essere in Giappone, in una delle città che non dorme mai, la seconda grande metropoli dopo l’inarrivabile Tokyo, e ti rispondi da solo.
Il mio giro prosegue, tra la mini statua della libertà che troneggia sul tetto di un palazzo e il gigantesco neon del “Glico”, l’atleta simbolo del Giappone; mi perdo tra Shinsaibashi Suji, una lunga strada al coperto, e Dotombori, via pedonale che la incrocia, dove si sviluppa la zona dai labili confini di Shinsaibashi, terra conquistata a pieno titolo da “cotonate/abbronzate”.
Accanto a “bambole” e “alternative”, è questa categoria che primeggia indiscussa per numero: moderne lolite che ondeggiano incerte, quasi avessero difficoltà a camminare, scottate da un sole artificiale e pettinate stile Tina Turner anni ‘80.
Chiedo a due di loro, sempre attraverso il mio interprete giapponese, se seguono la moda, e come mi aspettavo mi rispondono di sì. “Veniamo qui per fare shopping due volte alla settimana”. Amano vestirsi bene, guardano le riviste, gli piace una marca in particolare che indossano sempre. Interessi? “Andare nei club e ballare musica psichedelica”. Vorrei chiedere loro perché la maggior parte delle ragazze ha i piedi e le gambe storte, ma il mio interprete sembra imbarazzato e non traduce, facendomi capire che si sta andando troppo sul personale, e desisto.
Secondo alcuni, comunque, questo modo di camminare non sarebbe altro che un atteggiamento costruito, pensato e messo in atto per sembrare ancora più giovani di quello che sono, ancora più innocenti di quello che possono essere. “Cammino in modo così incerto”, sembrano dire, “perché ho appena imparato a essere una donna: apprezzate la mia ingenuità”.
Ondeggiando di qua e di là come scosse da folate di vento forte, sgargianti ragazzine passano i loro pomeriggi andando su e giù, per lo più serie in volto, con sacchetti, sacchettini e inevitabile cellulare.
Difficile fermarle, difficile parlarci, difficile qualsiasi approccio.
In fondo, sono qui solo essere guardate: solo l’occhio esige la sua parte, a Shinsaibashi.
CENTO YEN SHOP
(Tokyo, 5 giugno 2008)
AFRICAN NIGHTS
(Tokyo, 29 maggio 2008)
INGENUITA' ITALIANA
L’ho incontrata in un locale di Shibuya e mi ha raccontato questa storia. Piangeva a capo chino in uno dei tanti centri commerciali di Tokyo, perché non riusciva a trovare lavoro, quando due donne le si sono avvicinate. Consolandola e promettendole che l’avrebbero aiutata, l’hanno convinta ad andare con loro in una specie di chiesa. Qui un pastore l’ha fatta genuflettere e hanno cominciato a pregare tutti insieme, dandole anche delle pacche sulle spalle per “farla pregare più velocemente”. A un certo punto il pastore, dopo averle offerto un tè, le ha spiegato che il vero battesimo è per immersione. Non so come abbiano fatto a convincerla, sta di fatto che si è ritrovata nuda avvolta in una tunica bianca, nel bel mezzo di una piccola piscina rettangolare, con la mano del pastore sulla nuca, le grida di “Alleluia” delle donne, e la testa immersa nell’acqua gelida. Una volta rientrati in cappella, altre preghiere, questa volta specifiche: “Aiuta Ambra San a trovare lavoro!”. Se qualcuno di voi avesse qualche dubbio, può rivolgersi alla “Iesu no mitama”, la “Chiesa dello Spirito di Gesù”. Giapponese doc, ovviamente.
(Tokyo, 8 maggio 2008)
TOKYO, FINALLY
(Tokyo, 17 aprile 2008)
SUMO
(Osaka, 20 marzo 2008)
DIECI COSE CHE I GIAPPONESI NON AMMETTERANNO MAI
(Osaka, 10 marzo 2008)
BARA ECOLOGICA
(Osaka, 29 febbraio 2008)
NOZZE IN GIAPPONE
(Osaka, 17 febbraio 2008)
VICINI DI CASA
(Osaka, 3 febbraio 2008)
LEZIONE PREPARATORIA AL DISASTRO PER RESIDENTI STRANIERI
(Osaka, 28 gennaio 2008)
MUTANDINE
(Osaka, 14 gennaio 2008)
PARTORIRO' SENZA DOLORI
Dopo la mezzanotte ho anche speso 200 yen per pescare un bigliettino sul quale veniva predetto il mio anno. Mi è stato assicurato che si tratta solo di un “consiglio”, un “avvertimento”, posso sempre cambiare il mio destino: sta di fatto che pare che il mio anno sarà terribile, almeno nella prima parte. Il mio punto cardinale rimane l’Est, le cose che ho perso non le ritroverò, per i viaggi non devo avere fretta, la persona che sto aspettando arriverà ma chissà quando, non sarà facile trovare lavoro, guarirò dalle malattie ma dopo un lungo periodo. Insomma, niente di buono. Le uniche cose positive? Il parto non sarà faticoso e per traslocare non c’è problema.
(Osaka, 1 gennaio 2008)
NATALE
(Osaka, 25 dicembre 2007)
NARA
(Osaka, inverno 2007)
G-DAY
(Osaka, 2 dicembre 2007)
OSAKA EUROPEAN FILM FESTIVAL
Durante il film ci sono delle brevissime scene di ballo, quindi uno spettatore ballerino ha chiesto al regista se gli piacesse danzare. Il film si chiude in un campo di grano, e allora gli è stato chiesto se l’agricoltura costituisse per lui un valore importante. Ambientato nella zona di Udine, a un certo punto nel film viene inquadrata una grandissima sedia, una sorta di statua gigantesca. La domanda è stata, ovviamente, dove si trova. E sono convinto che a breve la zona di Udine sarà ripopolata da smanianti turisti giapponesi con macchine fotografiche e telecamere al seguito a caccia della tanto agognata sedia. Il regista, che ho avuto il piacere di intervistare prima e dopo la proiezione, faticava a rendersi conto di cosa stesse succedendo esattamente: autografi, foto, dediche. Un bagno di folla che certo non si aspettava.
(Osaka, 27 novembre 2007)
JUN
(Osaka, 17 novembre 2007)
KANON
(Osaka, 9 novembre 2007)
FALLIMENTI
Beh, quel pazzo avrebbe avuto ragione. Quattromila insegnanti di lingua sparsi per tutto il Giappone, tra cui io, hanno perso il lavoro, a causa del fallimento della più grande scuola/azienda privata del Sol Levante, dove si insegnavano inglese, italiano, cinese, francese, tedesco e spagnolo. In attesa degli stipendi di settembre e ottobre, che non so né da chi né quando ci verranno dati, mi ritrovo disoccupato in un Paese straniero, con la vaga sensazione che la cosa non si metterà tanto per il meglio, almeno a breve. Ho scoperto che la burocrazia e le procedure fallimentari, alla fin fine, sono uguali in tutto il mondo, Giappone incluso. Non resta altro che aspettare che qualcosa avvenga, e che qualcuno ci spieghi cosa fare.
In ogni caso, comunque vadano le cose, ho deciso di restare. Perché mi piace questo posto, perché mi piacciono le persone che ci abitano, perché mi piace essere guardato quando sfreccio in bicicletta scampanellando sui marciapiedi. Mi piace sentirmi straniero, anche se in qualche modo mi sento a casa, forse perché in pochi mesi ho provato tutto quello che di solito si sente in anni: odio, amore, inquietudine, benessere, stupore, angoscia, noia, solitudine. E molto, molto altro. Tutto quello che una sola pagina di diario non potrebbe mai contenere.
(Osaka, 29 ottobre 2007)