mercoledì 2 luglio 2008

VICINI DI CASA

Mi capita raramente di dover sostenere una conversazione in giapponese, dal momento che tutti quelli che di solito mi rivolgono la parola lo fanno perché vogliono parlare inglese. A questa regola non scritta fa eccezione il mio vicino di casa, un simpatico tipino da capelli a spazzola di una sessantina d’anni, alto non più di un metro e cinquanta. Ogni volta che mi incontra, mi saluta e mi dice qualcosa: di solito si limita a constatare le condizioni meteo, con frasi standard del genere “Che freddo, eh?”, o “Che caldo!”, a seconda della stagione. Una volta mi ha perfino fatto sapere che a Tokyo aveva nevicato. L’altro giorno però è andato ben oltre. Rientravo a casa con le borse della spesa, zaino in spalla, dopo una delle mie consuete lezioni di giapponese, durante le quali sempre più spesso mi chiedo quando arriverò a capirci veramente qualcosa, di questa strana lingua. Scoraggiato e affamato, avevo già infilato le chiavi nella porta quando il mio vicino di casa fa il suo ingresso dalle scale: maglione infeltrito marroncino fantasia, maglietta della salute color panna sotto, pantaloni “bianchi” e infradito nere. Splendido. Mi ha tenuto esattamente 12 minuti parlandomi in stretto Osakaben (il dialetto di Osaka, incomprensibile perfino a Tokyo) non so di che cosa, con me che lo guardavo e continuavo ad annuire e sorridere senza dire una parola. Solo grazie alla sua straordinaria gestualità sono riuscito a intuire (forse) dei vari problemi condominiali che lo attanagliano: coreani rumorosi, tubature rotte, pulizia delle scale. Forse.
(Osaka, 3 febbraio 2008)