I due lottatori sono uno di fronte all'altro, chinati nella classica posizione a gambe aperte. Si guardano negli occhi, studiandosi per prendere d'anticipo l'avversario. La concentrazione è al massimo e l'arbitro (vestito di un formalissimo kimono multicolore, cappellino nero e bandierina) è a lato, immobile anche lui. Gli spettatori attendono che l'incontro abbia inizio, e nel silenzio generale cosa vedo? Un inserviente a meno di due metri dai lottatori che pulisce con una scopettina il bordo ring. Il Giappone è bello perché è pieno di contraddizioni, e il Sumo è un rituale che ne contiene tante: grazia e forza, eleganza e brutalità, massa fisica e agilità. La cosa che più affascina in questo (parliamoci chiaro) noiosissimo sport, non è tanto l'incontro, quanto la lunga preparazione ad esso, che richiama le sue origini religiose e rituali: sarà forse per questo motivo che i tornei durano tutto il giorno? Un consiglio: evitate di prendere i posti in prima fila, perché vi potrebbero arrivare duecento di lottatore direttamente in braccio.
(Osaka, 20 marzo 2008)