Se sei mesi fa qualcuno mi avesse detto che avrei partecipato alla mia prima riunione sindacale a Osaka, probabilmente lo avrei preso per pazzo.
Beh, quel pazzo avrebbe avuto ragione. Quattromila insegnanti di lingua sparsi per tutto il Giappone, tra cui io, hanno perso il lavoro, a causa del fallimento della più grande scuola/azienda privata del Sol Levante, dove si insegnavano inglese, italiano, cinese, francese, tedesco e spagnolo. In attesa degli stipendi di settembre e ottobre, che non so né da chi né quando ci verranno dati, mi ritrovo disoccupato in un Paese straniero, con la vaga sensazione che la cosa non si metterà tanto per il meglio, almeno a breve. Ho scoperto che la burocrazia e le procedure fallimentari, alla fin fine, sono uguali in tutto il mondo, Giappone incluso. Non resta altro che aspettare che qualcosa avvenga, e che qualcuno ci spieghi cosa fare.
In ogni caso, comunque vadano le cose, ho deciso di restare. Perché mi piace questo posto, perché mi piacciono le persone che ci abitano, perché mi piace essere guardato quando sfreccio in bicicletta scampanellando sui marciapiedi. Mi piace sentirmi straniero, anche se in qualche modo mi sento a casa, forse perché in pochi mesi ho provato tutto quello che di solito si sente in anni: odio, amore, inquietudine, benessere, stupore, angoscia, noia, solitudine. E molto, molto altro. Tutto quello che una sola pagina di diario non potrebbe mai contenere.
(Osaka, 29 ottobre 2007)