venerdì 18 luglio 2008
NON APRITE QUELL'ARMADIO
(Tokyo, 27 giugno 2008)
martedì 15 luglio 2008
A QUALCUNO PIACE CARO
da Osaka, Paolo Soldano
(pubblicato su "Left" numero 47 il 23 novembre 2007)
Sono fermi agli angoli delle principali strade di Osaka, soprattutto nelle zone di Umeda e Shinsaibashi. Sembrano ragazzi come tanti altri, se non fosse per quel loro essere sempre in gruppi di due, massimo tre, vestire in maniera assolutamente perfetta - completo nero o bianco, scarpe a punta, lunghi capelli impomatati e falsamente ribelli - lo sguardo in perenne ricerca di ragazze alle quali proporsi: sono gli “intrattenitori” per sole donne, gli “host” (“hosto” per i giapponesi), moderne “geishe” al maschile.
Grazie a loro molte si sentono circondate, amate, volute, capite, desiderate.
E soprattutto, rispettate.
Per chi frequenta questi posti l’uomo è essenzialmente un prodotto, una merce: si sceglie da un menù in base a delle foto, esattamente come in un ristorante o in un bar, a seconda della bellezza, della descrizione, del prezzo.
E il gioco può cominciare.
Ci sono circa 100 host club nella sola Osaka, di cui solo una decina molto popolari. L’Easy è uno di questi.
Mio Asahina, 24 anni, capelli biondicci e sigaretta perennemente accesa, ne è il vicedirettore. Vanta 50 ragazzi sotto di sé, tutti tra i 18 e i 35 anni, che ruotano dalle 9 di sera alle 11 di mattina, l’ora di chiusura.
Da quanto tempo lavori all‘Easy?
Da tre anni. Prima il titolare di questo club [che ci vieta di fare foto per non imbarazzare le clienti] lavorava in un bar di Tokyo, dove l’ho conosciuto. Poi lui ha deciso di aprire un locale tutto suo a Osaka e io l’ho seguito.
Ti sei mai chiesto perché le donne vengono qui?
Penso che sia soprattutto per una questione di solitudine: vivere in una grande città e non avere con chi parlare fa il resto. In Giappone si dice “le persone sostengono le persone”.
Quando non le hai, però, non ti resta che pagare per averle, e anche tanto.
Una bottiglia di champagne costa mediamente tra i 250 e i 600 euro, ma le più care possono arrivare anche a 5.000. Negli ultimi tempi i prezzi stanno scendendo, sia a causa della concorrenza, sia per invogliare quante più donne possibili ad andare negli host club.
Chi riesce a spendere un intero stipendio medio in una sola serata, comunque, non manca mai.
Quanti anni hanno le donne che frequentano il club?
Ci sono donne dai 18 anni in su. Fino a quelle che potremmo chiamare “nonne”.
E che lavoro fanno per potersi permettere tutto questo?
Non ne sono molto sicuro, perché non chiedo mai del loro lavoro. Comunque ci sono casalinghe, impiegate. Penso che ci siano molte ragazze che fanno il nostro stesso mestiere.
La realtà, che Mio si guarda bene dal dire, è che quelle che spendono di più non sono solo hostess, ma soprattutto prostitute che cercano di “rilassarsi” in compagnia di uomini che le facciano divertire e che non chiedano loro del sesso. Il giro della prostituzione, dei “massaggi” e dei club per soli uomini alimenta un enorme business, una parte del quale finisce nelle tasche di giovani, come Mio, che non sanno neanche che farsene di tutti quei soldi.
Quanto guadagni in media in un anno?
Trenta milioni di yen [circa 180.000 euro]
Il tuo record mensile?
8 milioni di yen [48.000 euro]
Hai mai ricevuto dei regali dalle donne che frequentano questo locale?
No, niente regali dalle donne. L’agenzia non lo permette.
Ma altre sì: alcuni host hanno ricevuto gioielli, macchine, perfino appartamenti.
Cosa fai con il tuo stipendio?
Spendo tutto quello che guadagno, non ho messo da parte niente. Do qualche milione ai miei genitori, dopodichè faccio regali e compro le cose che mi piacciono. Non sono un tipo che risparmia.
Per quanto tempo continuerai a fare questo lavoro?
Non ho ancora deciso, e non voglio fissare una data. Finché le donne mi cercano e desiderano la mia compagnia continuerò a lavorare. Quando non mi vorranno più comincerò a pensare che è venuto il momento di smettere. Dopodichè voglio dedicarmi ad altro, aprire un locale ma diverso da questo.
Il talento dell’host sta nel capire i bisogni delle donne: deve soddisfare i loro bisogni, i loro desideri. La qualità essenziale è essere dei buoni parlatori e l’aspetto fisico non è così importante come si potrebbe credere. La cosa fondamentale è capire chi si ha di fronte, e circondarla di attenzioni.
“Divertirsi facendo soldi” è uno dei motti degli host, e non stupisce che ogni anno siano centinaia i pretendenti nella sola Osaka.
Ma i facili guadagni, le donne e l’alcol, sono solo alcune delle motivazioni che spingono i giovani a voler essere intrattenitori.
Come hai iniziato a lavorare come “Hosto”?
Prima facevo il facchino per un’azienda giapponese e avevo una ragazza che amavo molto. Quando lei mi ha lasciato ero distrutto, e volevo farle vedere chi ero. Ho iniziato così, ed ora eccomi qui.
Cosa fai al lavoro?
Sono un tipo che parla molto, anche perché penso che il mio lavoro consista soprattutto in questo. Se vedo che invece è la cliente a voler parlare mi trasformo in un buon ascoltatore. Cerco sempre di soddisfare al massimo le donne che vengono qui: devono provare un gusto particolare ed essere felici di stare con me.
Bere tutte le sere ti crea problemi di salute?
Bere fa parte del nostro lavoro, esattamente quanto il parlare. Dobbiamo bere molto anche per incentivare le donne a farlo. Poi è normale vomitare e ricominciare a bere. Qualche volta ci ubriachiamo.
Molti ragazzi si trasformano in confidenti, che appoggiano i progetti e le aspettative delle clienti. In questo modo si crea una vera e propria dipendenza, ben più profonda rispetto al semplice “passare una serata in compagnia”. Gli host possono essere molto diretti, e oltre a coprirle di complimenti, dicono alle ragazze come dovrebbero comportarsi o cosa dovrebbero fare. Danno loro dei consigli e dei suggerimenti pratici per affrontare la vita quotidiana.
La realtà si mischia così con la fantasia e il sogno, e molte prendono decisioni importanti, o lasciano il fidanzato, solo perché è l’host che gliel’ha consigliato.
Ci sono perfino dei posti speciali, all’interno dei club, dove si spende anche 50 euro per passare una sola ora in compagnia, senza essere visti dagli altri. E non è una questione di sesso, nella maggior parte dei casi, perché il sesso è vietato all’interno dei locali.
Ti sei mai innamorato di una delle clienti?
Si, qualche volta succede. Capita magari che sia molto carina, ti piaccia molto e quindi ti innamori.
Cosa fate in questi casi?
Quello che fanno di solito tutte le coppie: usciamo insieme, andiamo in giro, al cinema, a cena. Tutto quello che fanno le coppie normali.
E non sono gelose?
Dal momento che faccio il mestiere dell’intrattenitore le ragazze devono capire che si tratta di lavoro, dunque dico loro di non essere gelose. Altrimenti è davvero difficile.
Tu sei geloso?
Sì, lo sono.
Hai una fidanzata al momento?
No, ora no.
L’host è un regalo, un regalo che parla, che sta zitto quando deve, che ascolta, che beve, che balla, che canta, che fa tutto quello che vuoi: basta pagare il suo tempo, il suo corpo, la sua voce. Questo la maggior parte delle ragazze lo sa, ma è un gioco da cui è difficile staccarsi. Novelli Peter Pan, gli host portano le clienti in un mondo che non esiste, un mondo che fluttua a mezz’aria e non è da nessuna parte, una bolla di sapone alimentata a yen. È un mondo di illusioni, dove la merce principale è il sogno. La bugia, la regola.
Se fossero onesti, d’altronde, quasi certamente molte donne li odierebbero.
giovedì 10 luglio 2008
38 CENTIMETRI DI FIDANZATA
Un personale quanto spassionato consiglio agli omaccioni giapponesi che acquisteranno il prodotto: evitate di portare EMA in Italia. Il nome dell’azienda produttrice - Sega Toys - potrebbe suscitare una certa ilarità.
(Tokyo, 19 giugno 2008)
venerdì 4 luglio 2008
GOKIBURI
(Tokyo, 15 giugno 2008)
mercoledì 2 luglio 2008
WRITER SI DIVENTA
CAKE MANIA
Torte torte torte: tutti pazzi per le torte.
Pasticcerie che sembrano gioiellerie, locali con file all’ingresso, grandi magazzini traboccanti di dolciumi: in Giappone, soprattutto nelle grandi città come Osaka e Tokyo, sembra che la moda dei dolci all’occidentale stia crescendo sempre di più.
II concetto che esprime la cucina giapponese è l'estetica del cibo che mira alla perfezione unita alla massima semplicità. La preparazione degli alimenti tiene presente due regole, cotture brevi e grassi assenti, applicate per conservare intatto il sapore e assicurare la digeribilità. Sembra però che le cose siano un po’ cambiate, negli ultimi anni, da quando cioè i dolci all’occidentale, opulenti e abbondanti, grondano dagli scaffali di pasticcerie, supermercati e caffé.
Entrando nel piano sotterraneo di un grande magazzino giapponese si è subito investiti dal vociare dei clienti unito ai continui richiami dei commessi, che ogni secondo gridano “Prego!” o “Benvenuto!”. E tutto si trasforma in un enorme, elegantissimo mercato, dove gli odori si mischiano e la mente si confonde tra le centinaia di prodotti offerti. Tutto abbaglia, colpisce, inebria, avvolge. Tutto incuriosisce, attira, affascina e suscita stupore.
Nulla è lasciato al caso, ogni più piccolo dettaglio è curato, dalla perfetta disposizione con la quale vengono presentati i dolci alle impeccabili divise dei commessi, sorridenti e gentili da contratto.
Ogni torta è fatta rigorosamente a mano, sotto gli occhi dei clienti, sia nei locali che nelle pasticcerie. La frutta, bene prezioso in Giappone, è scelta minuziosamente e disposta con una attenzione sopraffina.
Il cibo, per essere considerato buono, deve infatti essere anche bello da vedere. La cultura dell’estetica non ammette defezioni: per piacere al palato un piatto, che sia di pesce o di carne, di riso o di tagliolini, deve anche piacere all’occhio. Questo vale ancora di più per i dolci.
Tra l’altro la "struttura" di un normale pasto non è basata su una serie di pietanze distinguibili (antipasti, primi, secondi ecc.). Stesso discorso vale per la divisione dei pasti nell'arco della giornata, nonché per gli orari "tipo" da dedicare a colazioni, pranzi e cene.
Si mangia qualsiasi cosa a qualsiasi ora del giorno e della notte, non c’è alcuna distinzione, complice il fatto che molti ristoranti sparsi ovunque sono aperti 24 ore su 24.
La contaminazione diventa dunque una scelta obbligata, il “fusion” una questione di sopravvivenza commerciale: la concorrenza è spietata, i clienti esigenti, le aspettative sempre più alte.
Esiste per esempio una variante della New York Cheese Cake, venduta in una famosa pasticceria di Osaka, dove l’esclusività del prodotto è data dal fatto che si può reperire solo tra l’una e le cinque del pomeriggio, e che il formaggio utilizzato, tra gli altri, è l’italianissimo Parmigiano Reggiano.
I menù variano il più possibile: ci sono dolci “del giorno”, “di stagione”, “tradizionali”, oltre alle “novità del mese”.
Siamo passati attraverso Halloween, dove non sono mancati i dolci di zucca o a forma di zucca, con l’arancione come colore predominante. E adesso si attende il meraviglio evento super commerciale del Natale, che in Giappone non è altro che uno dei tanti modi per spendere soldi.
Essendo un paese a maggioranza buddista e shintoista, il Natale non è infatti sentito come festa religiosa, ma unicamente “di moda”. Per gran parte dei giapponesi è più importante la Vigilia piuttosto che il 25, quando tutti vanno a lavorare come sempre. E c’è perfino qualcuno convinto che Natale sia il 24.
Tutte le pasticcerie o i grandi magazzini preparano un gran numero di torte e sperano di venderle almeno entro il giorno dopo, in quanto dal 26 dicembre incominciano i preparativi per le feste del ben più sentito, e tradizionale, Capodanno. C’è anche un detto, non molto carino, che paragona l‘età di una donna al Natale, alludendo al fatto che fino a 25 anni è in età da matrimonio, ma dopo quest’età ha bisogno di “grandi sconti” per trovare marito. E non manca il soprannome: le ragazze di questo tipo sono dette “torte natalizie invendute”. Per molte single giapponesi la notte della Vigilia diventa quindi di fondamentale importanza: bisogna scegliere il posto giusto e soprattutto l’uomo giusto con cui andare fuori a cena. La serata deve essere elegante e speciale, oltre che romantica, e molto fa il regalo ricevuto.
Se lo scorso anno la stravagante novità commerciale è stata la torta natalizia dal sorprendente nome di “Diamanti: miracolo della natura”, con 100 piccoli diamanti provenienti dal Sud Africa che impreziosivano il dolce al cioccolato, in vendita in unico esemplare alla “modica” cifra di 100 milioni di yen (circa 600.000 euro), quest’anno cosa ci riserverà l’inesauribile estro nipponico? Sicuramente qualcosa di ancor più sorprendente.
Ma come fanno le giapponesi a conciliare la loro linea perfetta, frutto di una dieta controllata e rigorosa, con le ipercaloriche porzioni dei dolci?
Semplice. Tutto sta nelle quantità e nell’eleganza.
Quantità, innanzitutto: le torte di qui in molti casi farebbero ridere a un qualsiasi goloso italiano. Spesso sembrano più degli assaggi che delle porzioni.
Eleganza: non c’è praticamente differenza, nei posti più chic, tra andare a fare spese e fare la spesa. Shopping e cibo sembrano la stessa cosa.
La maniacale ossessione nipponica per il packaging ha ovviamente colpito anche le pasticcerie e i caffé: torte e dolcetti sono doppiamente valorizzati dalla confezione che racchiude il tutto. Il sacchetto? In cartone duro, logo della pasticceria in rilievo, manici in corda. Esattamente come
E non sono solo le donne ad andare matte per queste cose.
Dal momento che, sembrerebbe, molti uomini di mezza età (i famosi “salary men” giapponesi) non amano essere visti mangiare torte e dolciumi vari in pubblico, un fast food aperto due anni fa a Tokyo si è inventato uno strano modo per vendere i propri dolci: farli sembrare hamburger e patatine. I golosoni un po’ timidi possono ora nascondersi dietro la virilità di un panino traboccante salsa o di untuose patatine per assaporare in realtà sapori ben diversi. Ogni prodotto venduto è un dolce, nonostante sembri qualcos’altro: il “pane” è in realtà pan di Spagna, il “ripieno” è di crema a diversi gusti, i “sottaceti” sono pezzi di kiwi.
E pensare che, almeno in teoria, in Giappone non esiste il concetto di dessert come in Occidente.
GUARDAMI, ESISTO
Osaka è una di quelle città dove perdersi è questione di un attimo, basta alzare la testa e tutto si confonde: le scritte diventano uguali, le strade tremendamente simili, punti di riferimento fissati poco prima svaniscono all’istante, in un senso di vertigine che qualche volta spaventa.
Esiste poi un quartiere, a Osaka, che si chiama Shinsaibashi, dove invece per non capire dove si è, e scuotere la testa, basta fermarsi a uno qualsiasi dei suoi angoli, e guardarsi intorno.
Una delle prime impressioni è che qui la moda, o meglio, le varie tendenze giovanili, sia sfuggita di mano un po’ a tutti.
La persistente idea di apparire il più possibile diversi e originali sembra quasi diventata un must, e non solo per le ragazze, ma per tutti quelli che frequentano questa zona.
Se da una parte ciò è lodevole, per la fantasia, la voglia di essere diversi e la capacità di inventiva, dall’altra, agli occhi di un occidentale, risulta tutto un po’ costruito, per non dire assurdo: gonnelline, gonnellone e gonnettine di ogni forma, misura, larghezza, lunghezza, colore, trasparenza; scarpe alte, altissime, ancora di più; ombrellini, parasoli, camicette, camicione, tacchi a spillo, pantaloni, pantaloncini -ini
-ini, canottierine -ine -ine; ricamate, a fantasia, a righe, a pois, in tinta unita e chi ne ha più ne metta.
Tra virtuosismi da scuole di moda ed esotismo suburbano, tra abrasioni e generosi lampi di effetti speciali combinati in modo a dir poco sorprendente, è davvero difficile capirci qualcosa: ragazze coperte quel tanto che basta da lasciare almeno un barlume di speranza all’immaginazione maschile, ragazzi che sembrano preoccupati più di “fare lo sguardo giusto” che di guardarsi attorno.
Se una signora di mezza età del Sud Italia riuscisse a vedere tutto questo, un appellativo che userebbe spesso sarebbe “scostumata”. E mai parola risulterebbe più appropriata, soprattutto nel senso letterale del termine, perché da queste parti sembra quasi che l’essere “senza costume”, senza vestito, sia una tendenza che va ben oltre la voglia d’estate. Se si considera anche il portamento, poi, che non è certo dei più signorili, il quadro è dipinto.
Insomma, un immaginifico coacervo di stili, una mirabolante accozzaglia di suggestioni pseudo-occidentali e tutte personali.
Ci sono quattro principali “categorie” femminili in mostra nelle vie di Shinsaibashi, escludendo le (poche) “normali”: “neogotiche”, “bambole”, “alternative”, “cotonate”.
Hanno tutte dai 15 ai 25 anni circa, la maggior parte non si fa influenzare dalla moda delle grandi marche, tutte passeggiano in questa zona per uno scopo: apparire.
Rie, 22 anni, “bambola”, mi fa promettere che la sua foto non girerà sul web, perché ha paura che venga usata da brutte persone: “Vengo qui ogni giorno, da sola, per passeggiare e guardarmi in giro. Compro i vestiti che indosso nel negozio dove lavoro come commessa”. I suoi interessi? “Mi piace fare turismo” mi dice sorridente, e non ho il coraggio di chiederle se di solito lo fa vestita così, con l’ampio vestito rosa e nero a pois gonfiato da sottoveste bianca in pizzo. Il suo sguardo è a dir poco fanciullesco, abbandono l’ironia e mi concentro sulla posa che assume per la foto.
Ci sono poi le neogotiche, colore predominante il nero, largo spazio a piercing, giarrettiere in vista, spesse calze autoreggenti a righe alternate e zeppe: nel loro stile “dark” rivisitato si distinguono subito per la loro eccentricità.
Ben diverse Yoko e Risa, 19 e 20 anni, “alternative”, entrambe di un’altezza vertiginosa anche senza tacchi: “Ci piace venire a Shinsaibashi un paio di volte alla settimana. Non guardiamo mai le riviste di moda, non vogliamo essere influenzate: seguiamo il nostro gusto”, ed è lampante sia così, basta osservarle un paio di secondi per capirlo. “Generalmente compriamo vintage, in un negozio di seconda mano”. Anche i loro interessi seguono questo stile. “Leggo letteratura surrealista giapponese”, mi dice Yoko, la più alta delle due “e adoro De Sade”. A Risa invece piace fare a maglia e leggere fantasy.
L’atmosfera è quella tipica dell’immaginario collettivo sul Giappone, un insieme di suggestioni che qui trovano conferma. Centinaia di ristoranti, locali, negozietti sempre aperti, karaoke, bar, love hotel, dvd shop, slot machine, pachinko, club, discoteche si susseguono uno dietro l’altro, e reclamano tutti le loro attrattive, colpendoti con neon luccicanti, con suoni e immagini e ragazzi che urlano invitandoti all’ingresso, o ragazze che sorridono mostrandoti menù e volantini. Fai un passo e si ricomincia, con tutto il gioco di luci, colori e scintillii di lampade intermittenti. Ti chiedi se la prefettura di Osaka abbia indetto un concorso per il locale più appariscente, poi ti rendi conto di essere in Giappone, in una delle città che non dorme mai, la seconda grande metropoli dopo l’inarrivabile Tokyo, e ti rispondi da solo.
Il mio giro prosegue, tra la mini statua della libertà che troneggia sul tetto di un palazzo e il gigantesco neon del “Glico”, l’atleta simbolo del Giappone; mi perdo tra Shinsaibashi Suji, una lunga strada al coperto, e Dotombori, via pedonale che la incrocia, dove si sviluppa la zona dai labili confini di Shinsaibashi, terra conquistata a pieno titolo da “cotonate/abbronzate”.
Accanto a “bambole” e “alternative”, è questa categoria che primeggia indiscussa per numero: moderne lolite che ondeggiano incerte, quasi avessero difficoltà a camminare, scottate da un sole artificiale e pettinate stile Tina Turner anni ‘80.
Chiedo a due di loro, sempre attraverso il mio interprete giapponese, se seguono la moda, e come mi aspettavo mi rispondono di sì. “Veniamo qui per fare shopping due volte alla settimana”. Amano vestirsi bene, guardano le riviste, gli piace una marca in particolare che indossano sempre. Interessi? “Andare nei club e ballare musica psichedelica”. Vorrei chiedere loro perché la maggior parte delle ragazze ha i piedi e le gambe storte, ma il mio interprete sembra imbarazzato e non traduce, facendomi capire che si sta andando troppo sul personale, e desisto.
Secondo alcuni, comunque, questo modo di camminare non sarebbe altro che un atteggiamento costruito, pensato e messo in atto per sembrare ancora più giovani di quello che sono, ancora più innocenti di quello che possono essere. “Cammino in modo così incerto”, sembrano dire, “perché ho appena imparato a essere una donna: apprezzate la mia ingenuità”.
Ondeggiando di qua e di là come scosse da folate di vento forte, sgargianti ragazzine passano i loro pomeriggi andando su e giù, per lo più serie in volto, con sacchetti, sacchettini e inevitabile cellulare.
Difficile fermarle, difficile parlarci, difficile qualsiasi approccio.
In fondo, sono qui solo essere guardate: solo l’occhio esige la sua parte, a Shinsaibashi.
CENTO YEN SHOP
(Tokyo, 5 giugno 2008)
AFRICAN NIGHTS
(Tokyo, 29 maggio 2008)
INGENUITA' ITALIANA
L’ho incontrata in un locale di Shibuya e mi ha raccontato questa storia. Piangeva a capo chino in uno dei tanti centri commerciali di Tokyo, perché non riusciva a trovare lavoro, quando due donne le si sono avvicinate. Consolandola e promettendole che l’avrebbero aiutata, l’hanno convinta ad andare con loro in una specie di chiesa. Qui un pastore l’ha fatta genuflettere e hanno cominciato a pregare tutti insieme, dandole anche delle pacche sulle spalle per “farla pregare più velocemente”. A un certo punto il pastore, dopo averle offerto un tè, le ha spiegato che il vero battesimo è per immersione. Non so come abbiano fatto a convincerla, sta di fatto che si è ritrovata nuda avvolta in una tunica bianca, nel bel mezzo di una piccola piscina rettangolare, con la mano del pastore sulla nuca, le grida di “Alleluia” delle donne, e la testa immersa nell’acqua gelida. Una volta rientrati in cappella, altre preghiere, questa volta specifiche: “Aiuta Ambra San a trovare lavoro!”. Se qualcuno di voi avesse qualche dubbio, può rivolgersi alla “Iesu no mitama”, la “Chiesa dello Spirito di Gesù”. Giapponese doc, ovviamente.
(Tokyo, 8 maggio 2008)
TOKYO, FINALLY
(Tokyo, 17 aprile 2008)
SUMO
(Osaka, 20 marzo 2008)
DIECI COSE CHE I GIAPPONESI NON AMMETTERANNO MAI
(Osaka, 10 marzo 2008)
BARA ECOLOGICA
(Osaka, 29 febbraio 2008)
NOZZE IN GIAPPONE
(Osaka, 17 febbraio 2008)
VICINI DI CASA
(Osaka, 3 febbraio 2008)
LEZIONE PREPARATORIA AL DISASTRO PER RESIDENTI STRANIERI
(Osaka, 28 gennaio 2008)
MUTANDINE
(Osaka, 14 gennaio 2008)
PARTORIRO' SENZA DOLORI
Dopo la mezzanotte ho anche speso 200 yen per pescare un bigliettino sul quale veniva predetto il mio anno. Mi è stato assicurato che si tratta solo di un “consiglio”, un “avvertimento”, posso sempre cambiare il mio destino: sta di fatto che pare che il mio anno sarà terribile, almeno nella prima parte. Il mio punto cardinale rimane l’Est, le cose che ho perso non le ritroverò, per i viaggi non devo avere fretta, la persona che sto aspettando arriverà ma chissà quando, non sarà facile trovare lavoro, guarirò dalle malattie ma dopo un lungo periodo. Insomma, niente di buono. Le uniche cose positive? Il parto non sarà faticoso e per traslocare non c’è problema.
(Osaka, 1 gennaio 2008)
NATALE
(Osaka, 25 dicembre 2007)
NARA
(Osaka, inverno 2007)
G-DAY
(Osaka, 2 dicembre 2007)
OSAKA EUROPEAN FILM FESTIVAL
Durante il film ci sono delle brevissime scene di ballo, quindi uno spettatore ballerino ha chiesto al regista se gli piacesse danzare. Il film si chiude in un campo di grano, e allora gli è stato chiesto se l’agricoltura costituisse per lui un valore importante. Ambientato nella zona di Udine, a un certo punto nel film viene inquadrata una grandissima sedia, una sorta di statua gigantesca. La domanda è stata, ovviamente, dove si trova. E sono convinto che a breve la zona di Udine sarà ripopolata da smanianti turisti giapponesi con macchine fotografiche e telecamere al seguito a caccia della tanto agognata sedia. Il regista, che ho avuto il piacere di intervistare prima e dopo la proiezione, faticava a rendersi conto di cosa stesse succedendo esattamente: autografi, foto, dediche. Un bagno di folla che certo non si aspettava.
(Osaka, 27 novembre 2007)
JUN
(Osaka, 17 novembre 2007)
KANON
(Osaka, 9 novembre 2007)
FALLIMENTI
Beh, quel pazzo avrebbe avuto ragione. Quattromila insegnanti di lingua sparsi per tutto il Giappone, tra cui io, hanno perso il lavoro, a causa del fallimento della più grande scuola/azienda privata del Sol Levante, dove si insegnavano inglese, italiano, cinese, francese, tedesco e spagnolo. In attesa degli stipendi di settembre e ottobre, che non so né da chi né quando ci verranno dati, mi ritrovo disoccupato in un Paese straniero, con la vaga sensazione che la cosa non si metterà tanto per il meglio, almeno a breve. Ho scoperto che la burocrazia e le procedure fallimentari, alla fin fine, sono uguali in tutto il mondo, Giappone incluso. Non resta altro che aspettare che qualcosa avvenga, e che qualcuno ci spieghi cosa fare.
In ogni caso, comunque vadano le cose, ho deciso di restare. Perché mi piace questo posto, perché mi piacciono le persone che ci abitano, perché mi piace essere guardato quando sfreccio in bicicletta scampanellando sui marciapiedi. Mi piace sentirmi straniero, anche se in qualche modo mi sento a casa, forse perché in pochi mesi ho provato tutto quello che di solito si sente in anni: odio, amore, inquietudine, benessere, stupore, angoscia, noia, solitudine. E molto, molto altro. Tutto quello che una sola pagina di diario non potrebbe mai contenere.
(Osaka, 29 ottobre 2007)
FOGNA
(Osaka, 21 ottobre 2007)
MIDOSUJI PARADE
(Osaka, 19 ottobre 2007)
KOBE
(Osaka, 6 ottobre 2007)
UNA NOTTE A BERLINO
Mi dirigo da quella parte, apro e mi sembra di essere stato catapultato direttamente a Berlino, a uno di quei rave party dove è difficile capirci qualcosa: strobo gigante in mezzo alla pista vista fiume, dj occidentale, video alle pareti che proiettano non si sa bene cosa, divanetti bassi, casse alte due metri, musica psichedelica a tutto volume, luci verdi e blu che avvolgono tutto. Il resto sono dettagli.
(Osaka, 30 settembre 2007)
PER TUTTI I GUSTI
(Osaka, 23 settembre 2007)
GUIDA ALLA GIAPPONESE
(Osaka, estate 2007)
JAMAICAN STYLE
(Osaka, settembre 2007)
JITENSHA DE
(Osaka, estate 2007)
NARCOLESSIA
(Osaka, primi di agosto 2007)
TRATTATI CON I GUANTI BIANCHI
(Osaka, 29 luglio 2007)
Il lavoro stanca? In Giappone uccide
I dati forniti recentemente dal ministero della Salute giapponese parlano chiaro: il numero di persone che si sono suicidate o hanno tentato di farlo a causa di stress direttamente collegabile al lavoro è raddoppiato negli ultimi 5 anni.
Aumentano i casi di depressione riconducibili all'angoscia da prestazione sul lavoro, aumentano i risarcimenti per malattie mentali dovute a ragioni lavorative: sono state 268, l'anno scorso, le persone che hanno ottenuto il riconoscimento dello status di “malati da lavoro”, anche se le domande sono state ben 952.Non stupisce dunque il fatto che il governo abbia stanziato l'equivalente di 141 milioni di euro per i cosiddetti programmi “anti-suicidi”.
In una società di questo tipo, in cui rimanere in azienda dodici ore al giorno è considerato normale e competitività e concorrenza fanno parte del vivere quotidiano, si inseriscono episodi di ordinaria follia come quello avvenuto pochi giorni fa a Tokyo, dove un 25enne ha ucciso 7 persone a coltellate dopo aver guidato il suo furgone sulla folla.
La società giapponese è forse sull'orlo di una crisi di nervi?
Nel Paese in cui il numero di suicidi è uno dei più alti al mondo (più di 32.000 persone nel 2006, secondo i dati più recenti a disposizione), forse le cose potrebbero, lentamente, cambiare. Dal primo giugno infatti la Toyota pagherà quelli che qui vengono chiamati gli “straordinari volontari”, ore di lavoro in più considerate dall'azienda un modo per incrementare la qualità, secondo il programma “kaizen” (letteralmente, “miglioramento”), introdotta dal colosso automobilistico nel lontano 1964. Controllare, aumentare e migliorare i processi produttivi, secondo la filosofia lavorativa standard giapponese, avrà finalmente un riconoscimento anche in busta paga.
Tutto è nato da una sentenza del Tribunale Distrettuale di Nagoya, che a novembre dell'anno scorso ha stabilito che la morte di un operaio della più importante azienda automobilistica giapponese fosse direttamente riconducibile al superlavoro. Nel 2002, l'appena 30enne Kenichi Uchino era stramazzato al suolo nel capannone della fabbrica dove prestava servizio, colto da infarto per aver lavorato in media 16 ore al giorno, per i quattro mesi precedenti alla sua morte.
Dopo quasi sei anni da quell'episodio, la Toyota, che fin dall'inizio del programma “kaizen” ha sempre considerato volontarie le ore di straordinario dei suoi dipendenti, ha riconosciuto che questo tipo di attività fa pienamente parte del lavoro dei dipendenti. Una decisione che, pur arrivando in ritardo e dopo le crescenti proteste, forse provocherà uno scossone nel mondo lavorativo giapponese, in cui il superlavoro è considerato un dovere sociale. E non solo alla Toyota.
Questo tipo di lavoro “volontario”, che incoraggia piccoli miglioramenti quotidiani nella produzione e nel controllo qualità e che ha portato la multinazionale giapponese al top a livello mondiale, è stato infatti gradualmente e comunemente introdotto da molte industrie, soprattutto del settore automobilistico e degli elettrodomestici.
E mentre un portavoce della Toyota ha dichiarato a un giornale locale che questo cambiamento provocherà inevitabilmente un aumento del costo del lavoro, non resta che attendere le prossime statistiche del ministero della Salute per sapere se le cose sono veramente cambiate.
Distributore di sigarette a riconoscimento facciale
E' nato in Giappone il distributore di sigarette a riconoscimento facciale.
La Fujitaka Co, società giapponese con base a Kyoto e presente nella maggior parte dei mercati internazionali con soluzioni tecnologiche innovative, ha progettato un nuovo sistema per impedire agli under 20 (età limite sotto cui non è consentito fumare in Giappone) di comprare sigarette.
Una piccola telecamera e un software di riconoscimento del viso, installati direttamente sul distributore, analizzeranno l'aspirante acquirente, giudicando se sia il caso di vendergli tabacco o meno. Presentata al magazine New Scientist da Hajime Yamamoto, portavoce della Fujitaka Co, la nuova meraviglia tecnologica giapponese potrebbe ben presto entrare in funzione .
"Con il riconoscimento facciale" ha dichiarato Yamamoto presentando il prodotto alla rivista New Scientist, "se sei un adulto puoi continuare a comprare le sigarette come prima, e il problema dei minori che prendono in prestito le carte di identità per acquistare le sigarette potrà così essere evitato". La macchinetta scatta una foto quando si schiaccia il pulsante "riconoscimento adulti", analizzando la faccia del fumatore: in base alle rughe, alle zone flaccide intorno a bocca e occhi e alla struttura corporea rilevate, è in grado di determinare l'età approssimativa della persona, scansionando la sua faccia e confrontandola con 100.000 volti contenuti nel database del software. Nel caso in cui il computer avesse dei dubbi, può comunque richiedere un'ulteriore verifica tramite documento d'indentità.
Provata su un campione di 500 individui di età compresa tra i 13 e i 60 anni, il software ha individuato gli "adulti" con un'accuratezza del 90%. Il progetto della Fujitaka deve avere ancora l'approvazione definitiva del Ministero delle Finanze, e arriva dopo la decisione di dare un giro di vite alla vendita di sigarette ai minori di vent' anni.
Nel frattempo, sono già stati accolti due sistemi di riconoscimento dell'età, che entreranno in funzione dal primo di luglio a Tokyo: una macchinetta in grado di "leggere" la patente, e la "Taspo", una tessera in stile carta di credito con tutte le informazioni sul compratore.
È soprattutto la "Taspo" che ha provocato dei malumori tra i fumatori, a causa del laborioso procedimento per ottenerla. Ritirati i moduli di richiesta in tabaccheria, bisogna infatti compilarli con i dati personali (allegando anche una fotocopia di un documento d'indentità e una fotografia formato tessera), spedire il tutto all'Istituto del Tabacco e aspettare l'invio della tessera.
Il progetto, partito a marzo a Kagoshima e Miyazaki e già in vigore in alcune aree del Giappone , verrà pienamente attuato a giugno nelle prefetture di Osaka, Kyoto e Nara, e a partire da luglio anche a Tokyo.I 570.000 distributori di sigarette sparsi in tutto il Paese si dovranno dunque dotare per legge di un sistema di riconoscimento dell'età, qualsiasi esso sia.
In Giappone, dove un pacchetto di "rosse" costa circa 2 euro, non esiste una legislazione che bandisca il fumo dai locali pubblici, anche se una diminuzione del numero di fumatori si è registrata dall'approvazione della "Legge sulla Promozione della Salute" del 2003. Ma se accendersi una sigaretta è permesso in quasi tutti i bar e i ristoranti, la stretta convivenza di milioni di persone ha imposto nelle grandi città ferrei regolamenti per fumare in strada: solo in zone adibite è permesso farlo. E se sono in molti ad essersi dotati di portaceneri "da taschino" nei quali buttare la cenere e la cicca una volta finita, fumare per strada in aree non consentite rimane comunque una cosa malvista.
Tra poco, anche comprare un pacchetto di sigarette non sarà più così immediato.
Crisi? le donne tagliano i capelli
Secondo un sondaggio fatto da una delle più grandi aziende giapponesi di cosmetici, che ha intervistato un campione di mille donne per le strade di Tokyo e Osaka, la tendenza è quella di portare i capelli lunghi quando l'economia sta andando bene, e corti quando sta andando male.
La società che ha condotto la curiosa analisi non è nuova a ricerche del genere: negli ultimi vent'anni ha regolarmente intervistato migliaia di donne giapponesi, chiedendo loro delucidazioni riguardo all'acconciatura e mettendo a confronto i dati raccolti con l‘andamento economico.
I risultati di tutti questi anni, soprattutto prima e dopo la "bolla economica", sono sorprendenti e non lasciano adito a dubbi.
Fino ai primissimi anni ‘90, all'apice della "bolla", il 60 % delle donne portava i capelli lunghi, mentre durante la recessione degli anni successivi i tagli corti predominavano. Dal 2002, proprio quando l'economia giapponese è tornata a crescere, i capelli lunghi sono ritornati di moda. Un caso? Sembrerebbe proprio di no, se addirittura il Nikkei, il maggior quotidiano finanziario del Giappone, ha citato la ricerca. Pare proprio che al momento fare delle previsioni ben definite non sia così facile. Il rallentamento della produzione industriale, la netta caduta negli investimenti immobiliari e le non rassicuranti prospettive dei consumi fanno pensare ad una contrazione economica in Giappone nella prima metà di quest'anno. Nonostante l'imprevista crescita registrata tra ottobre e dicembre dell'anno passato, il rallentamento dell'economia U.S.A. sulla scia della debacle dei mutui subprime potrebbe avere un bilancio negativo sulle esportazioni giapponesi.
La produzione industriale, che per la seconda potenza economica mondiale dipende proprio dalla richiesta dall'estero, ha registrato una crescita in dicembre dell'1,4%, poco meno del previsto, ma i produttori si aspettano un ulteriore calo a febbraio. Soprattutto per il primo trimestre, però, le previsioni sono alquanto altalenanti. Le discrepanze maggiori risultano infatti tra il discreto andamento dell'economia giapponese alla fine del 2007 e le considerazioni dei maggiori esperti finanziari, che prevedono una stagnazione.
Il rischio principale è che il rallentamento dell'economia statunitense peggiori più del previsto, e che ciò incida principalmente sulle medie imprese giapponesi e sui suoi lavoratori. Sono comunque in molti a dire che in Giappone probabilmente non ci sarà una vera e propria recessione, ma sembra anche che la crescita registrata negli ultimi anni sia finita.
I problemi potrebbero arrivare non solo dall'andamento dell'economia USA. Secondo le previsione del Fondo Monetario Internazionale nel 2008 la crescita mondiale si assesterà al 4,1% dal 4,4 di gennaio, proprio per l'impatto dei mutui subprime negli Stati Uniti. Più di 100 aziende giapponesi, tra cui la Sony, hanno ultimamente rivisto al ribasso le loro previsioni di crescita: oltre alla possibile recessione americana, uno yen sempre più forte, l'aumento dei prezzi del greggio e lo stagnante mercato interno sono state citate come le cause principali del ridimensionamento.Insomma: recessione, stagnazione, o leggera crescita? Sembra che sia sempre più difficile prevederlo.
D'altronde, per rendersi conto del periodo d'incertezza nel quale i giapponesi sono finiti, gli analisti avrebbero certo fatto prima a considerare la prepotente popolarità dello chignon tra le donne giapponesi.
Giappone, in vigore nuova legge sull'immigrazione. Tutti i turisti schedati
Molti l'hanno già ribattezzato il "G- Day" (il giorno del "Gaijin" o "Gaikokujin" - "straniero", in giapponese) o "F - Day" (da "Foreigner", in inglese). Poco cambia: dal 20 novembre è entrata in vigore la nuova legge sull‘immigrazione, che ricalca quella adottata dagli Stati Uniti dopo l'11 settembre. Qualsiasi non giapponese che passerà i controlli di frontiera nei 27 aeroporti o 127 porti del Giappone, sarà "schedato": a tutti, ad eccezione dei diplomatici, dei minori di 16 anni, dei militari americani in servizio nel paese, dei coreani e cinesi residenti da lungo tempo in Giappone e degli "invitati" dal governo giapponese, saranno prese le impronte digitali e verrà scattata una fotografia.
Si tratta del secondo Paese, dopo gli Stati Uniti nel 2003, a utilizzare un sistema di raccolta dei dati biometrici, battezzato Japan-VISIT, nome ricalcato dal US-VISIT (Visitor and Immigrant Status Information Technology) americano.
Nonostante gli unici attacchi terroristici registrati negli ultimi 40 anni sul suolo giapponese abbiano visto protagonisti dei nativi - a cominciare dal gruppo politico di estrema sinistra Japanese Red Army, attivo negli anni ‘70 e ‘80, per finire con la setta religiosa Aum Shinrikyo, famosa per l'attentato al gas sarin nella metropolitana di Tokyo, nel 1995 - il governo ha adottato il provvedimento per prevenire le attività dei terroristi internazionali sul suolo nipponico.Che il Giappone sia diventato un obiettivo sensibile al terrorismo internazionale, è un dato di fatto, almeno sulla carta. Dopo l'appoggio dato agli Stati Uniti nelle missioni militari in Afghanistan e Iraq, si sente minacciato e ha perciò adottato delle contromisure.
Che però Tokyo sia un obiettivo veramente sensibile, non è poi così scontato. "Il governo giapponese ha una lunga storia nel non volere residenti stranieri a lungo termine" ha dichiarato Sonoko Kawakami, di Amnesty International, "in questo modo vuole solo avere più controllo sugli stranieri e ottenere quante più informazioni possibili sul loro conto".
Non sono poche le voci di dissenso per questa legge che qualcuno, a cominciare proprio da Amnesty International, ha definito "un insulto" e "un abuso" contro i diritti umani, in una società dove qualsiasi cosa è "pericolosa", dove la paura del "diverso" è retaggio antico e l'accettazione di stranieri non è ancora del tutto metabolizzata, anche nelle grandi città. Per molti l'equazione "straniero=terrorista" sembra essere più facile dopo l'entrata in vigore della nuova legge.
Hanno destato oltre modo scalpore le dichiarazioni del ministro della Giustizia Kunio Hatoyama, che ha recentemente sfiorato la gaffe internazionale menzionando, durante una conferenza stampa, il fatto che un "amico di un amico", noto terrorista di al Qaeda coinvolto in un attentato terroristico a Bali, negli ultimi anni sia entrato più volte in Giappone usando passaporti diversi. Il politico giapponese, che voleva denunciare la facilità con la quale molti stranieri entrano in Giappone e in questo modo suffragare le scelte del governo, è riuscito a far rientrare le polemiche dichiarando di non aver mai incontrato personalmente il terrorista, e che "l'aneddoto" gli è stato riferito "da un amico".
Cosa sarebbe successo se uno qualsiasi dei nostri ministri avesse detto cose del genere? Certo la reazione non sarebbe stata come quella del Primo Ministro Yasuo Fukuda, che ha semplicemente dichiarato che Hatoyaka ha parlato "in modo inappropriato, senza tener conto di dove fosse". Oltre alle polemiche "di diritto", legate alla tolleranza dei giapponesi verso gli stranieri, e a quelle politiche, la scelta di schedare i visitatori ne ha suscitate altre.
Fin dall'aprile dell'anno scorso il parlamentare Hosaka Nobuto, del Partito Democratico Sociale giapponese, ha infatti chiesto spiegazioni al governo, attraverso ripetute interrogazioni parlamentari, riguardo all'appalto per il nuovo sistema biometrico. Sembra infatti che la Accenture Japan Ltd, società delle Bermuda legata alla nota società di consulenza (ex Andersen Consulting), prima sia stata richiesta come consulente, e poi abbia vinto l'appalto aggiudicandoselo per la cifra di 100.000 yen (circa 600 euro).
La domanda che si son posti in tanti è: come è possibile? Solo 600 euro per sviluppare (e mantenere) un sistema del genere? Le spiegazioni date a riguardo sono lacunose, e molti parlano di "mistero": prima è stato detto che il prezzo così basso era dovuto alla comprovata esperienza della società per questo genere di sistemi (nonostante la Accenture abbia lavorato solo con gli Stati Uniti); poi è venuto fuori che il prezzo così competitivo era visto in termini di investimento, contando sul fatto che anche tutti gli altri paesi asiatici, e non solo, adotteranno il sistema biometrico.
Indipendentemente dalle polemiche, rimane il fatto che il nuovo provvedimento molto probabilmente minerà l'efficienza giapponese: sarà difficile non causare disagi agli 8 milioni di visitatori, che, la maggior parte via aereo, ogni anno visitano il Giappone.