da Tokyo, Paolo Soldano
(pubblicato su "Il Messaggero" il 16 giugno 2008)
I dati forniti recentemente dal ministero della Salute giapponese parlano chiaro: il numero di persone che si sono suicidate o hanno tentato di farlo a causa di stress direttamente collegabile al lavoro è raddoppiato negli ultimi 5 anni.
Aumentano i casi di depressione riconducibili all'angoscia da prestazione sul lavoro, aumentano i risarcimenti per malattie mentali dovute a ragioni lavorative: sono state 268, l'anno scorso, le persone che hanno ottenuto il riconoscimento dello status di “malati da lavoro”, anche se le domande sono state ben 952.Non stupisce dunque il fatto che il governo abbia stanziato l'equivalente di 141 milioni di euro per i cosiddetti programmi “anti-suicidi”.
In una società di questo tipo, in cui rimanere in azienda dodici ore al giorno è considerato normale e competitività e concorrenza fanno parte del vivere quotidiano, si inseriscono episodi di ordinaria follia come quello avvenuto pochi giorni fa a Tokyo, dove un 25enne ha ucciso 7 persone a coltellate dopo aver guidato il suo furgone sulla folla.
La società giapponese è forse sull'orlo di una crisi di nervi?
Nel Paese in cui il numero di suicidi è uno dei più alti al mondo (più di 32.000 persone nel 2006, secondo i dati più recenti a disposizione), forse le cose potrebbero, lentamente, cambiare. Dal primo giugno infatti la Toyota pagherà quelli che qui vengono chiamati gli “straordinari volontari”, ore di lavoro in più considerate dall'azienda un modo per incrementare la qualità, secondo il programma “kaizen” (letteralmente, “miglioramento”), introdotta dal colosso automobilistico nel lontano 1964. Controllare, aumentare e migliorare i processi produttivi, secondo la filosofia lavorativa standard giapponese, avrà finalmente un riconoscimento anche in busta paga.
Tutto è nato da una sentenza del Tribunale Distrettuale di Nagoya, che a novembre dell'anno scorso ha stabilito che la morte di un operaio della più importante azienda automobilistica giapponese fosse direttamente riconducibile al superlavoro. Nel 2002, l'appena 30enne Kenichi Uchino era stramazzato al suolo nel capannone della fabbrica dove prestava servizio, colto da infarto per aver lavorato in media 16 ore al giorno, per i quattro mesi precedenti alla sua morte.
Dopo quasi sei anni da quell'episodio, la Toyota, che fin dall'inizio del programma “kaizen” ha sempre considerato volontarie le ore di straordinario dei suoi dipendenti, ha riconosciuto che questo tipo di attività fa pienamente parte del lavoro dei dipendenti. Una decisione che, pur arrivando in ritardo e dopo le crescenti proteste, forse provocherà uno scossone nel mondo lavorativo giapponese, in cui il superlavoro è considerato un dovere sociale. E non solo alla Toyota.
Questo tipo di lavoro “volontario”, che incoraggia piccoli miglioramenti quotidiani nella produzione e nel controllo qualità e che ha portato la multinazionale giapponese al top a livello mondiale, è stato infatti gradualmente e comunemente introdotto da molte industrie, soprattutto del settore automobilistico e degli elettrodomestici.
E mentre un portavoce della Toyota ha dichiarato a un giornale locale che questo cambiamento provocherà inevitabilmente un aumento del costo del lavoro, non resta che attendere le prossime statistiche del ministero della Salute per sapere se le cose sono veramente cambiate.